Gli slogan sono fatti per semplificare i concetti ma spesso servono per far passare delle bugie per fatti. Lo slogan su cui l’antiberlusconismo militante sta puntando tutte le sue carte in questi giorni è quello del «governo bloccato» che non ha fatto nulla, sottointendendo che la colpa di questo nulla sia anche da ricercarsi nei comportamenti più o meno sconvenienti tenuti nel privato. L’altro slogan riguarda l’abusata «emergenza» ed il «bene del paese» e subdolamente insinua che ci potrebbero essere danni irreparabili dovuti alla grave congiuntura economica non affrontata propriamente per i motivi di cui sopra. Il tutto punta a creare disperatamente una giustificazione per l’agognato ribaltone nel nome (usurpato) dell’interesse generale. Certo, ognuno usa le armi che ha, tuttavia vale la pena di domandarsi questi slogan hanno un minimo fondamento o sono del tutto campati per aria? Dato che, specialmente se sotto assedio, anche il governo risponde a sua volta con slogan di segno opposto, per capire la realtà vale la pena di leggere il pensiero di alcuni commentatori che non possono essere di certo tacciati di simpatie preconcette per l’attuale esecutivo e che rappresentano forse la parte intellettualmente più libera di quella tradizionale stampa del Nord industriale di cui ormai a volte si fatica a ritrovare le tracce.
Mi riferisco in particolare a Luca Ricolfi e a Sergio Romano. In due lucidi articoli apparsi sulla Stampa e, ieri, sul Corriere insieme alle critiche viene ricordato come in realtà questo governo ha fatto e continua a fare molto, specialmente in campi di fondamentale importanza che a volte erano stati presentati come bandiere (ma senza risultati) anche dai governi di centrosinistra. Che la tenuta dei conti pubblici sia stata realizzata pur in un contesto senza precedenti per difficoltà internazionale sono veramente in pochi a negarlo, lo ricorda Romano che scrive del «recupero dell’evasione fiscale e la prudenza e l’abilità con cui è stata affrontata la crisi del credito» e lo conferma con dettaglio Ricolfi che, per evitare mezze parole, cita «la stabilizzazione dei conti pubblici, fatta senza colpire la sanità e con il plauso di tutte le istituzioni sovranazionali».
Il tutto è molto semplicemente nei numeri: entrati nella crisi strutturalmente vulnerabili a causa del nostro enorme debito pubblico si è riusciti a contenere il deficit del 2009 al 5,2%, un valore largamente inferiore a quello della Francia, meno della metà di Spagna e Gran Bretagna e circa un terzo del deficit dell’Irlanda. La disoccupazione si è mantenuta su livelli molto inferiori alla media europea che, nel frattempo, è in tre anni schizzata in doppia cifra. La meccanica degli ordini all’industria, secondo gli ultimi numeri rilasciati da Eurostat la scorsa settimana sui dati di agosto, è fra le più dinamiche del continente. Non si tratta certo di un dettaglio: dalla stabilità economica discende quasi tutto il resto e per mollare sui conti sarebbe bastato pochissimo, bastava spendere e spandere con la scusa dell’emergenza e in quest’arte hanno sempre brillato i governi italiani di ogni colore, quindi si sapeva benissimo come procedere.
Ma i due editorialisti ammettono anche altri successi: ad esempio la lotta contro la criminalità organizzata, con Ricolfi che ammette che «è stato sotto il ministro Maroni che mafia, camorra e ‘ndrangheta hanno ricevuto i colpi più duri». Questo è un capitolo che alla sinistra degli slogan brucia molto. Inutile che in favore di telecamere molti di quelli a cui faceva comodo additare il premier quasi come un colluso, si sgolino dicendo che i malfattori li arrestano i poliziotti non il governo, dato che si tratta di un’obiezione risibile: in ogni organizzazione i vertici sono corresponsabili dei successi e degli insuccessi. Le forze dell’ordine hanno svolto un compito commovente per impegno e abnegazione, ma il governo e i ministri dell’Interno e della Difesa sono responsabili dell’organizzazione e della pianificazione strategica, attuata anche nominando gli ufficiali dei carabinieri e i questori che poi coordinano sul campo le operazioni. In qualsiasi azienda di successo i prodotti sono fatti dagli operai ma nessuno si sognerebbe di negare i meriti del management. Comunque l’elenco delle cose fatte dal governo di centrodestra e ammesse dai due editorialisti è lungo e Sergio Romano ne riempie metà del suo articolo mentre Luca Ricolfi sintetizza affermando «che tutto si possa dire del governo, tranne che sia stato con le mani in mano».
Tutto bene dunque? No di certo.
Una volta sgombrato il campo dagli slogan rimane una verità di fondo, cioè che agli italiani interessa di più quello che si farà rispetto a quello che si è fatto. Si continui così, magari affrontando di corsa i nodi del fisco e della giustizia, la responsabilità davanti agli elettori sarà di chi dirà no.posta@claudioborghi.com
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