"Andare a trans? Va bene". E Repubblica se la prendeva coi giornali inquisitori

Quando il portavoce di Prodi fu fotografato con la prostituta si mossero le firme di punta Merlo: "Quei quotidiani bigotti...". Berselli: "Attentato politico, massacro di una persona"

Dedicato ai colleghi di Repubblica.
Non si può negare che il quotidiano che fu - che è - di Eugenio Scalfari abbia dato prova della propria superiorità morale combattendo un’esemplare battaglia contro un vergognoso caso di forsennata violenza mediatica e a difesa di un uomo politico messo alla gogna sulla base di un’umana debolezza. Silvio Sircana.
Era il portavoce del presidente del Consiglio Romano Prodi fotografato da un paparazzo mentre si intrattiene con una escort, transessuale, in una sera d’estate fuori da un elegante palazzo romano, nel marzo 2007. Ora, è chiaro che questo episodio non può minimamente essere paragonato al caso di un presidente del Consiglio con il quale una escort, eterosessuale, fotografata da un paparazzo, dice di essersi intrattenuta in una sera d’estate in un elegante palazzo romano, nel giugno 2009. Due cose imparagonabili. Per carità.
Ma, ci sembra, rimane uguale la dolorosa vicenda di un uomo la cui dignità è stata infangata dall’uso disinvolto di «gossip senza rilevanza penale», come allora scrisse Repubblica. Due Silvio, due misure. La morale, però, dovrebbe essere una sola. Sempre la stessa.
Espressione di un’antropologica vocazione a cavalcare le nobili battaglie progressiste senza disperdere gli elementi più autentici della tradizione moderata, figlia di un rigido moralismo azionista irrobustito da una sana dose di «complesso dei migliori» propria dell’intellighenzia laical-chic, campione di un vigoroso elitarismo rafforzato dalla snobistica convinzione di appartenere a un gruppo di saggi iniziati, la Repubblica quando si trattò di affrontare l’affaire Sircana lamentò la «privacy violata», si domandò se «è possibile colpire una persona così?», sottolineava che dal punto di vista politico e legale «non c’è niente, proprio niente», dando voce nella pagina dei lettori (che notoriamente rappresentano il condensato delle qualità e degli istinti del loro giornale) a sfoghi come: «Siamo stupefatti che si cerchi di aggiungere fango a fango», «Stanno gettando fango nel ventilatore. E a chi arriva, arriva». «È una vergogna!».
Edmondo Berselli (che notoriamente rappresenta il condensato delle intelligenze e dei sentimenti del suo giornale) il giorno in cui scoppiò il «caso Sircana» fece vibrare dallo sdegno la prima pagina del quotidiano di Largo Fochetti con un pezzo dal titolo che non possiamo non condividere, ieri come oggi: «Il Paese avvelenato», in cui si legge: «Sono attentati politici e personali dalle conseguenze distruttive. Senza garanzie di nessun tipo perché, offerta in questo modo agli occhi del pubblico, la vicenda si rivela innanzitutto come l’autentico massacro di una persona, la sua distruzione senza difese e senza scampo». Francesco Merlo, il maître à penser del vivaio di Ezio Mauro, invece si rammaricava: «Certo, a nessuno piace che la propria vita privata finisca sui giornali, ma una volta che ci sei finito bisogna mettersi i giornali sotto i piedi, cioè orgogliosamente imporsi “contro”, e far fare la figura del nano, non tanto al giornalista che deve comunque pubblicare tutto, ma all’inquisitore bigotto, quello che confonde gli ambiti pubblici con le dimensioni private, quello che scambia i tic di una persona con l’interesse generale».
E mentre Gad Lerner con il suo tipico humour yiddish sottolineava l’ipocrisia del Giornale che pubblicava le foto scandalose con il politico e la escort («è semplicemente vomitevole»), imbeccando in un colpo solo Fassino («Vergognoso scandalismo mediatico»), Rutelli («Una stampa che tenta una lapidazione in pubblico») e Franceschini («È del tutto evidente che siamo di fronte alla costruzione di un caso per gettare fango»), uno squisito garantista come Giovanni Valentini annotava che se l’uomo politico aveva comunque deciso di non dimettersi, «vuol dire che si sente tranquillo con la propria coscienza, ritiene di non aver fatto nulla di male o di sconveniente. Buon per lui e per il suo governo». E quel simpatico chierichetto in salsa liberal di Sebastiano Messina, ancora di là da venire l’inflessibile Torquemada di questi giorni, davanti al «Sì, quello della foto sono io» di Sircana - situazione difficilmente negabile, per altro - lo innalzò al pubblico elogio: «Ha dato una eccellente prova di sincerità. Oggi Sircana è il portavoce più credibile che ci sia sulla piazza. Altro che dimissioni: uno così dovrebbero promuoverlo». Quando il puritano moralismo gauchista sconfina nell’involontario umorismo grouchista.
All’epoca era ancora tra noi Enzo Biagi, mai abbastanza rimpianto decano del giornalismo italiano. Al quale, in un’intervista, Repubblica chiese un definitivo parere.

Che fu: «Sircana il suo mestiere lo fa bene o lo fa male? Lo fa bene. Punto e basta. A me quello che fa dopo cena non interessa». Per noi del Giornale è difficile da dire a proposito di Biagi. Ma lo diciamo, vah: «Appunto».

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