André Héléna, un avanzo di galera genio del "noir"

Contemporaneo del papà di Maigret, ebbe fama (meritata) di maledetto. L’Italia lo scopre solo ora

André Héléna, un avanzo di galera genio del "noir"

«Le randellate della polizia esistono. Io lo so. Ho visto detenuti arrivare in gabbia in uno stato tale che il sorvegliante capo manifestava le sue riserve. Ho sentito uomini urlare sotto i colpi». Così nel 1952 nel testo di sovracoperta del suo Gli sbirri hanno sempre ragione André Héléna manifestava il proprio disagio nei confronti delle autorità di pubblica sicurezza francese. «Nel 1949 - proseguiva - il mio libro, anche se esaurito rapidamente, non provocò alcuna reazione tra le alte sfere. Solo coloro che avevano fatto esperienza della Giustizia potevano credermi, perché sapevano che niente di quella storia impietosa era inventato. Era un racconto genuino, crudo e distinto come un grido di rabbia».

E quel romanzo noir (edito ora per la prima volta in Italia dalla casa editrice Aisara) è in questo senso esemplare: l’ex scassinatore Théophraste Renard, dopo aver scontato la sua pena per un furto andato a male, cerca di rifarsi una vita nella società civile, facendo prima innamorare di lui una prostituta e circuendo poi come gigolò un’insaziabile cinquantenne. Ma il destino dell’ex rapinatore non può essere mutato né da un successivo nuovo impiego onesto né dall’amore ricambiato per una brava ragazza. Théophraste per la società non è «nient’altro che un malvivente». Verrà accusato di un crimine mai commesso e sarà persino costretto dai poliziotti a confessarlo a suon di botte. Quando uscirà dall’umida cella numero 14-70 apprenderà della morte della sua povera Gisèle e, da supposto ladro, si trasformerà in reale omicida per vendicarla.
Quando Héléna pubblicò questa storia era anche lui da poco reduce dalla reclusione per un’accusa di truffa (legata ad alcune firme false di abbonamenti registrati per la rivista La Poterne da lui stesso promossa), quindi il suo occhio sul sistema giudiziario del suo Paese era estremamente lucido. «Perché in Inghilterra la polizia è unanimemente rispettata? - scriveva - Per le ragioni diametralmente opposte che fanno sì che in Francia non ci fidiamo della nostra. Sarò sempre fiero di essere stato il primo, di tutta la stampa, a parlare liberamente e apertamente di questi abusi». Abusi e violenze che racconterà nelle sue storie edite in Francia in contemporanea con le opere di Auguste Le Breton, Albert Simonin, Boris Vian e Léo Malet, dimostrandosi fra gli autori più disperati del noir d’Oltralpe, assimilabile per la sensibilità all’americano David Goodis. «Pochi autori - spiega lo scrittore Massimo Carlotto - hanno capito meglio di Héléna la Francia della guerra e del dopoguerra. Pochi hanno tradotto meglio le ore felici e infelici della malavita e hanno descritto i traffici della criminalità e i crimini commessi sotto l’occupazione».

In quelle storie emergono ritratti scolpiti nel piombo e nel sangue di malavitosi, poliziotti, magnaccia, prostitute, derelitti, collaborazionisti, partigiani dal grilletto facile che non posano le armi nemmeno dopo la guerra, galeotti destinati alla non redenzione. Uomini e donne che per sopravvivere danzano quotidianamente con la morte. D’altra parte la stessa vita di Héléna fu segnata da eventi che ne fecero un cronista del mondo che lo circondava. Nel ’36, a soli diciassette anni, fu proiettato nel mondo del cinema come assistente alla regia di Arsène Lupin Détective di Henry Diamant-Berger. In seguito fu volontario nella guerra di Spagna, quindi partigiano in Francia, venditore di pesticidi, impenitente alcolista, persino galeotto.
«Héléna tutto era fuorché un fannullone - affermava il suo amico Léo Malet (1909-1996) -. A occhio e croce ha scritto più di duecento libri. E tutto questo enorme lavoro per cosa? In sostanza per un pugno di mosche». Infatti, nonostante la sterminata produzione di storie edite fra il ’48 e il ’72 (romanzi noir, storici, d’avventura, pornografici), che lo portarono a rivaleggiare con Georges Simenon quanto a prolificità, Héléna non ha mai gustato in vita il meritato successo. Per capire i suoi ritmi basti dire che nel ’52 scrisse 11 romanzi, 18 nel ’53 e 10 nel ’54. Ovviamente fu costretto a mascherare questa iperproduttività dietro vari pseudonimi: Noël Vexin per la serie dell’avvocato Valentin Roussel; Buddy Wesson o Terry Crane per la serie de «La Môme Muriel»; Mauren Sullivan o Kathy Woodfield per le storie erotiche; Alex Cardourcy per una cinquantina di scritti pornografici. E più i libri di Héléna si esaurivano, più i suoi editori lo costringevano a ritmi impossibili, non pagandogli quasi mai i diritti previsti.

Se la critica letteraria a lui contemporanea non si occupò di lui, soltanto per un soffio sfumarono i progetti cinematografici di Jean Rollin e Jean-Pierre Melville tratti da sue opere. E dopo la sua scomparsa, nel ’72, il nome di André Héléna è praticamente caduto nell’oblio fino a quando, nell’86, le edizioni 10/18 francesi hanno rieditato sei romanzi nella collana «La Poisse». Quindi Parigi lo ha celebrato nel 2000 con una mostra intitolata «Le prince noir» mentre Jacques Hiron e Jean-Michel Arroyo nel 2003 gli hanno dedicato un’appassionata biografia a fumetti. In Italia il rilancio è partito con la pubblicazione da Fanucci de La vittima e Un uomo qualunque, ai quali sono seguiti Il buon dio se ne frega, Il gusto del sangue, I viaggiatori del venerdì e i recenti Il ricettatore e Gli sbirri hanno sempre ragione tutti editi dalle edizioni Aisara.

Per riscoprire il ritmo delle storie di questo poeta noir della disperazione basta aprire a caso uno qualsiasi dei suoi romanzi, dove (come sottolineano lo studioso Laurent Lombard e lo scrittore Massimo Carlotto) «la musica delle frasi è furiosa come il suono di una Mauser, dolce come la carezza più assassina».

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