Marcio Santos, Sharon Stone e la clausola più folle della Serie A

Nel 1995 la viola di Cecchi Gori riuscì a ingaggiare il brasiliano Marcio Santos (anche) ricorrendo a una surreale proposta: "Firma, cenerai con l'attrice"

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Se ne sta rannicchiato in una poltroncina di stoffa rossa, dentro un cinemino di Bordeaux. La tensione muscolare è pari soltanto a quella che ha sperimentato in ritiro con i Girondins, oppure col Brasile. D'altronde Marcio Santos pensa di non aver mai visto una creatura più bella su uno schermo. Il film è Basic Instinct e la scena è quella che succhia il fiato a chiunque: Sharon Stone che accavalla e scavalla, ricorrendo all'arma letale della seduzione. Quando esce dalla sala, Santos è frastornato. Quanto vorrebbe incontrarla anche nella vita reale. Quanto gli piacerebbe giocarsi le sue chances a cena con la diva.

Impossibile? Mica tanto. Specie se dall'altro lato della cornetta del telefono c'è un produttore cinematografico. "Come dici? Ti piace la Stone? Bene, se firmi per la Fiorentina e fai almeno sette gol ti ci faccio andare a cena". La voce è quella di Vittorio Cecchi Gori. L'anno, il 1995. Il vero film comincia qui.

In quell’orizzonte sospeso tra tragedia e farsa, fra le voci dei radiomercati e le attese febbrili dei tifosi premuti sotto ai cancelli dei ritiri, nasce una delle storie più irresistibilmente assurde del calcio moderno. La femme fatale più iconica degli anni ’90, simbolo di un desiderio mediatico che travalicava la ragione, certo non pensa di poter diventare una clausola infilata in un contratto. Del resto il suo nome, accanto a quello di un rude difensore brasiliano, sembra il frutto di un abbaglio estivo. Eppure la postilla esiste davvero.

Il calcio italiano si trova al culmine della sua luccicante parabola. La Serie A domina l’Europa, i migliori campioni del mondo sbarcano sul nostro suolo come divinità pagane. E la Fiorentina, appena tornata in A sotto la guida di Ranieri, cerca un centrale di peso. Il profilo pare quello giusto: Marcio Santos, campione del mondo con il Brasile nel ’94, arcigno marcatore dal fisico compatto, forte nel gioco aereo e temibile nei duelli.

Così scatta l'operazione Stone. Otto giorni appena dopo la finale del Mondiale americano, mentre il Brasile festeggia il suo quarto titolo e Roberto Baggio contempla il peso del penalty schizzato sopra la traversa, un volo parte all’alba da Peretola, diretto a Parigi. A bordo, la triade viola: l’amministratore delegato Luciano Luna, il direttore sportivo Cinquini, e il general manager Giancarlo Antognoni. Tre uomini in missione. Obiettivo: colmare i seicento milioni che ancora separano l’offerta della Fiorentina dalla richiesta del Bordeaux per Marcio Santos, fresco di valutazione impennata a sei miliardi, per grazia ricevuta dal Mondiale.

Sharon Stone
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Il margine d’errore, questa volta, è zero. Vietato tornare a mani vuote. Non dopo il naufragio dell’operazione Thuram, primo obiettivo della dirigenza gigliata. Anche in quel caso, la delegazione si era mossa con ordine, destinazione Principato di Monaco, dove una stretta di mano col presidente Campora sembrava aver chiuso tutto. Ma poi ci si è messo Arsène Wenger, tecnico filosofo, a ribaltare la sceneggiatura: “Thuram è troppo importante per i miei schemi”. E allora, via libera al piano B.

La scena madre si consuma nella villa alle porte di Parigi del presidente del Bordeaux, l’ottico-miliardario Alain Afflelou. Cinque ore e mezza di trattativa, tra bollicine e fax, sembrano avvicinare le parti. Finché, come spesso accade nei mercati d’agosto (e delle illusioni), arriva il colpo di teatro: da Londra rimbalza la notizia che il Tottenham si è infilato nella trattativa. Ha offerto di più. Molto di più. E direttamente al giocatore, in vacanza a casa dei genitori, nei pressi di Porto Alegre.

L’ingaggio proposto dagli Spurs è sensibile. Quanto basta a far vacillare anche un fresco campione del mondo. Ma la Fiorentina non molla. Due giorni dopo, il direttore sportivo Cinquini vola a Rio de Janeiro. Incontra Marcio Santos, gli illustra il progetto tecnico, lo coccola con parole e visioni. In serata, chiama Luna, che attende a Roma, e può finalmente pronunciare la formula magica: “È fatta”.

Cosa abbia davvero convinto Marcio Santos, non è dato sapere. Ma forse, nella conversazione carioca, è emersa una suggestione. “Il presidente della Fiorentina? È Vittorio Cecchi Gori”. Il difensore alza un sopracciglio. “Ha detto produttore cinematografico?” Domanda retorica. L’idea prende forma: e se davvero esistesse un modo per conoscere Sharon Stone.

Da lì a poco si materializza l’epilogo più assurdamente improbabile del calcio italiano. Nasce la scommessa. “Se quest’anno segni sette gol, ti organizzo una cena con Sharon Stone”. La proposta di Cecchi Gori è reale, il bonus non finirà mai nero su bianco ma aleggerà su tutto l’accordo come una clausola morale, a metà tra Hollywood e il Mercato di San Lorenzo. Un dettaglio che trasforma una trattativa in leggenda.

Marcio Santos accetta. Firma. E giura battaglia. Trascorrerà buona parte della stagione più nell’area avversaria che nella propria. Segnerà due gol, veri. E ne farà un paio nella porta sbagliata.

Anche contando gli autogol, siamo comunque fermi a quota quattro. Troppo pochi anche per un aperitivo con Sharon. Il sogno resta tale. L’appuntamento con la diva rimandato a data da destinarsi. Sul grande schermo, e nulla più.

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