Angela, un panzer travestito da angelo

La cancelliera tedesca non mostra emozioni e non entusiasma le folle. Ma raggiunge sempre l’obiettivo

Angela, un panzer  travestito da angelo

Angela Merkel è un mistero. Forse anche per il marito. Qualche tempo fa alcuni giornalisti tedeschi riuscirono a sistemarsi, non visti, dietro il tavolo a cui i due stavano cenando da soli. Lei laureata in fisica, lui chimico di fama internazionale, parlarono a lungo di problemi scientifici. Come due colleghi di lavoro. E come due colleghi in tutta la serata non toccarono temi personali.
Se Silvio Berlusconi è l’arcitaliano, lei è l’arcitedesca. Studia con meticolosità i dossier, approfondisce i dettagli, difficilmente mostra emozioni che vadano oltre un’educata cortesia. A proposito della crisi dell’euro i commentatori tedeschi le rimproverano tra le altre cose di non aver mai parlato al cuore dei suoi concittadini. Al di là di qualche frase di circostanza, non è mai riuscita a far arrivare all’uomo della strada un messaggio semplice: la moneta unica è un bene su cui si fonda il benessere della Germania. E su cui si gioca la riuscita di un progetto ideale di generazioni di europei. I tedeschi non gliene fanno una colpa. Secondo l’ultimo sondaggio di Eurobarometer il 78% è soddisfatto della situazione economica del Paese (per fare un confronto gli italiani contenti sono il 9%). I consumi vanno bene, le aziende assumono, anche se non ai ritmi indiavolati del recente passato.
Angela non fa scintille, non impressiona ma raggiunge l’obiettivo. A volte, di rado, con qualche colpo di fantasia. Come quando, secondo il suo racconto, riuscì a depistare la richiesta di entrare a far parte della Stasi, la polizia politica della Ddr. Il padre della cancelliera, amburghese, pastore protestante, aveva fatto negli anni ’50 una scelta controcorrente: trasferirsi nella Germania comunista (e per questo si era guadagnato il nomignolo di «pastore rosso»). Una volta all’Est la famiglia si era adattata: Angela, per iscriversi all’università aveva chiesto la tessera della federazione giovanile comunista. Studentessa brillante e sempre in prima fila, aveva subito attirato l’attenzione delle autorità politiche. Che, come abituale da quelle parti, l’avevano chiamata per chiederle di entrare nella Staatssicherheit. L’offerta era attesa, spiegò più tardi la Merkel a una sua biografa, e la reazione concordata con il padre. Angela si presentò al colloquio con un’aria da svagata secchiona. Intelligente, certo, ma sprovveduta di ogni uso di mondo: «Sono una chiacchierona», spiegò. «Non posso accettare. Racconterei a tutti le cose che mi dite». Dopo qualche titubanza gli spioni ritirano l’offerta. Senza peraltro metterla nella lista dei dissidenti, cosa che avrebbe danneggiato irrimediabilmente la sua carriera di ricercatrice.
Alla caduta del Muro, la sua ascesa nella Cdu, la democrazia cristiana tedesca, è stata passata al setaccio da centinaia di articoli e libri. Sempre sottovalutata, ma regolarmente vittoriosa in ogni confronto, la Merkel fu chiamata al governo da Kohl solo perché quest’ultimo doveva in qualche modo, e nella maniera meno ingombrante possibile, dare un contentino agli elettori dell’Est. Poi lei ha fatto fuori i rivali uno a uno. Compreso il suo mentore, il cancelliere della riunificazione. Oggi nella Cdu non c’è nessuno in grado di tenerle testa. L’uomo istituzionalmente più in vista del suo partito, il presidente Christian Wulff, azzoppato da un brutto scandalo (un imprenditore gli concedeva presti, e gli pagava viaggi «a sua insaputa»), dipende in questo momento da un suo gesto. Ad Angela basterebbe uno schiocco di dita per costringerlo alle dimissioni.
Lei non può permetterselo. Ha già una navigazione troppo tormentata in Europa per poter sopportare turbolenze anche in casa. Il suo 2012, e le prospettive di rielezione nel voto politico del 2013, si giocheranno tutti nella partita dell’euro. Come insegnano le tappe irresistibili della sua ascesa è un errore snobbare la cancelliera. Ma nel primo tempo ha fatto un errore dopo l’altro: in difesa è intervenuta timidamente e in ritardo; quando poi è andata all’attacco, chiedendo che anche gli investitori privati fossero coinvolti nelle perdite sui bond greci, ha finito per spaventare l’intero mondo finanziario.
La sua razionalità matematica, l’incapacità, almeno apparente, di gesti emotivi sembrano in questo caso un ostacolo non da poco.

Il maestro Kohl superò un secolo di conflitti prendendo per mano François Mitterrand in un cimitero di caduti di guerra. Lei, con un altro presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha prima battibeccato e poi concluso un precario armistizio. Ma nessuno in Europa si sognerebbe di prenderla per mano.

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