Angelo, il sacrestano nero con la svastica sul braccio

Nel giorno della Memoria ha accolto i fedeli la croce uncinata del regime nazista. La diocesi: "Pronti ad adottare seri provvedimenti"

Angelo, il sacrestano nero 
con la svastica sul braccio

Siamo alle Idi di aprile. Nel senso letterale della parola, visto che trattiamo del signor Angelo Idi, sacrestano della parrocchia di san Dionigi in Francesco di Vigevano, ed essendo successo tutto il 22 aprile, nel giorno in cui Israele festeggia la giornata della Memoria.
Il sacrestano di Vigevano, martedì scorso ha avuto la bella idea di legarsi al braccio sinistro una svastica, accogliendo i fedeli sul sagrato e salutandoli al termine della messa con il simbolo nazista in bella mostra. Dalla Croce alle croci uncinate e a quelle celtiche, per il sacrestano di Vigevano - che ha rilasciato dichiarazioni a giornali e televisioni a reti e testate unificate sulla sua fede, da intendersi nel senso rigorosamente politico della parola - non c’è stata grandissima distanza.

Giusto lo spazio e il tempo di passare dall’abside al sagrato: «Sono di estrema destra e fiero di esserlo; sono un seguace della Repubblica di Salò». Posizione assolutamente legittima, se non che, alle domande sull’eventuale conflitto di interessi tra il suo lavoro e la sua ideologia (che l’ha portato in passato anche a scrivere una lettera di scuse da parte dell’Italia alla famiglia Mussolini), ha precisato serafico: «Penso che non importi a nessuno delle mie idee politiche; l’importante è che faccia bene il mio lavoro, come è in effetti. Se poi vogliamo essere pignoli, allora andiamo a vedere quanti cattolici votano a sinistra, oppure si sono espressi a favore dell’aborto».

Subito, sono partiti gli indignati speciali, con Rifondazione in testa che ha chiesto immediati provvedimenti. E vescovo e parroco si sono ovviamente dissociati, assicurando di aver preso provvedimenti, non senza aver ricordato - prima che qualcuno, magari gli stessi rifondatori che protestavano, invocasse l’intervento della magistratura del lavoro - che «questo dipendente è comunque sottoposto alle norme del diritto del lavoro». E, per non farsi mancare nulla, vescovo e parroco hanno giustamente richiamato «i valori di pace, libertà e democrazia che devono essere sempre difesi e testimoniati nella loro attualità». Il sacrestano è fuori linea. O, più semplicemente, è fuori.

Insomma, il caso è chiuso. I giornali non possono fare nemmeno un boxino per richiamare «i sospetti su Pio XII» e le «colpe storiche dei cattolici nei confronti del popolo ebraico», due classici evergreen.
Il caso è chiuso, i casini - nel senso dei piccoli casi - però, rimangono aperti. E, a mio parere, riguardano tutti coloro che usano la Chiesa come sfondo per le proprie idee. Tutti coloro che diventano, in qualche modo, personaggi. Mettendosi nelle inquadrature davanti al Personaggio che sta sulla croce. Un po’ come Nanni Moretti nella descrizione caricaturale che ne fece Dino Risi: «’A Nanni, spostati che ora devo vedere il film».

A vederlo in fotografia - quando non indossa il giubbotto di pelle nera con la fascia della svastica da gerarca - il signor Idi è una persona moderatissima e gentilissima. Sguardo fiero, testa ampiamente stempiata, un filo di pancetta, un maglione grigio con dei disegni a greche che non si possono certo definire all’ultima moda e che non sembrano griffati Armani. Comunque, l’aspetto di una persona mite. Eppure, all’improvviso protagonista.
Del resto, da queste parti, sono abituati ai personaggi che diventano topos letterati. A Voghera c’è la famosa casalinga di Alberto Arbasino e proprio a Vigevano c’è il maestro del romanzo di Lucio Mastronardi e del film di Elio Petri. Quindi, il sacrestano di Vigevano è un nuovo personaggio di questa galleria di tipi italiani o arci-italiani. Anche se lui il prefisso «arci», sia pure scritto con la minuscola, non lo vorrebbe proprio vicino al suo nome.

Ma, ribadisco, è l’ennesimo protagonista di una specie di reality con la Chiesa sullo sfondo.

Che si tratti dei donvitaliani o dei dongalli che fanno prediche dove Gesù è trasformato in una versione nazarena del Che o del sacrestano che «fa bene il suo mestiere».
Forse senza accorgersi che il suo mestiere è lasciare la scena a Quello che sta là, sullo sfondo. Sull’altare.

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