Annegano in 300 sotto gli occhi di Malta

L’allarme arriva intorno all’una di notte. Da Lampedusa partono le motovedette delle Capitanerie di porto e un elicottero della Guardia di finanza. È una corsa contro il tempo, e lo sanno tutti. Un barcone con a bordo 350 persone è in avaria. Quaranta miglia per arrivare, per sfidare un mare in tempesta, le onde alte fino a tre metri, spira un vento di Maestrale a oltre 30 nodi. Troppo per riuscire a salvare tutti. L’allarme arriva prima a Malta, le acque territoriali non lasciano alcun dubbio. Sono quelle maltesi. Eppure a muoversi sono le forze italiane. Si cerca di fare chiarezza, di capire perché da Malta non arriva nessuno. La Valletta si giustifica: «L’Italia ha i mezzi più idonei. Sono più veloci dei nostri». Malta ha lasciato all’Italia. C’è il sospetto che i maltesi abbiano girato le spalle ai naufraghi. E non sarebbe la prima volta. Viene in mente il passato, di tutte le volte che Malta ha negato, ha respinto, ha lasciato i clandestini in balia del loro destino: «Non c’è spazio», ripetevano senza pietà. E allora toccava all’Italia. Era il 2009 quando il ministro dell’Interno, Roberto Maroni consegnava all’Unione europea un dossier con tutte le scorrettezze compiute contro l’Italia. L’accusa era pesante ma giustificata da numeri e cifre: 3.670 interventi mancati da parte di Malta; omissioni di soccorso che all’epoca ci erano costati più di tre milioni di euro. Questa volta sembra solo il replay di un salvataggio mancato. Si cerca di ricostruire la dinamica: quando gli scafisti capiscono che non ci sono più possibilità di farcela da soli chiamano con il telefono satellitare La Valletta. Ma l’Sos viene immediatamente girato all’Italia. Partono gli uomini di Lampedusa. Le motovedette italiane arrivano quasi all’alba. Sono quasi le 5 del mattino ed è una tragedia. E infatti sono proprio le motovedette italiane ad arrivare prima. Per molti è già troppo tardi. La ricostruzione a questo punto si complica. Ci sono i racconti della gente, quelli che tra le lacrime parlano di un barcone vecchio e malandato che imbarcava acqua. La paura, il buio, gli scricchiolii. Poi si scatena l’inferno. Qualcuno è caduto in mare. Altri raccontano che il barcone avrebbe imbarcato acqua all’arrivo della motovedetta. Poco dopo arriva anche un peschereccio, dirottato dalla capitaneria del porto di Lampedusa. «Temiamo che molte persone possano essere morte», dicono dal porto. Dalla Guardia costiera arriva, invece, un filo di speranza. «Sono passate ancora poche ore dal naufragio - dice un operatore - per considerare perse tutte le speranze». Si fa di tutto per cercare di recuperare i naufraghi. Fa freddo, ogni minuto è di fondamentale importanza. Scricchiolii, grida soffocate. La gente urla, piange, batte i denti. Cade in ipotermia. È buio e le operazioni di salvataggio sono sempre più difficili. Solo 53 naufraghi sono stati tratti in salvo. Affiorano corpi. È un orrore continuo, una corsa contro il tempo. L’elicottero della Capitaneria di porto avvista una ventina di corpi. Sono i primi delle oltre 200 persone disperse che viaggiano a bordo del barcone di 13 metri. È la peggiore tragedia degli ultimi tempi. Tra le vittime ci sono tantissimi bambini. Erano partiti due giorni prima dalla Libia. Ogni biglietto quattrocento dollari. A bordo uomini donne e tanti bambini erano rimasti stretti uno accanto all’altro, senza spazio neppure per muoversi.
Questo barcone non era carico solo di uomini, qui a tentare di raggiungere le coste italiane non era un barcone dalla Tunisia. Chi è sopravvissuto, oggi sventola un passaporto bagnato con l’inchiostro sbiadito, qualcuno ha il foglio da rifugiato politico rilasciato dalle autorità libiche. E chi spiega: «Sono state le autorità libiche a consigliarci di lasciare il Paese, di venire in Italia». Il giorno dopo è indignazione di tutti. «Non è più accettabile che la comunità internazionale assista impotente all’ennesima tragedia annunciata», dicono dalla Caritas. «Occorre aprire dei corridoi umanitari per far arrivare in sicurezza queste persone disperate», afferma il responsabile immigrazione delle Acli, Antonio Russo.

Arrivano le precisazioni ufficiali, le Forze armate maltesi spiegano: «Ieri mattina il Centro di coordinamento ricerca e soccorso di Malta è stato coinvolto nel coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso». Le autorità maltesi avevano formalmente assunto il coordinamento delle operazioni. Ma davanti a tutti quei corpi in mezzo al mare le parole sanno solo di tentativi di difesa.

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