Persino il dissacrante Caravaggio lo ammirava. Nella deposizione al processo del 1603 lo aveva incluso tra i «valenthuomini» del suo tempo, tra quelli cioè che sapevano «dipingere bene et imitar bene le cose naturali». E lui, Annibale, di questo «naturale» aveva fatto il suo credo. La pittura doveva essere «viva» come la realtà, i volti ridenti o imbronciati, con le loro smorfie, le figure inserite nella quotidianità, contadini che mangiano fagioli e macellai a vendere bistecche. Una modernità di visione tale che quel mondo dipinto di fine Cinquecento sembra addirittura lOttocento di Cézanne.
Le centoventi opere che sfilano nel Museo Civico Archeologico di Bologna, giunte da una ventina di musei italiani e stranieri, sono una rivelazione. Dicono che Annibale, il più giovane dei tre Carracci, nato a Bologna nel 1560 e morto a Roma nel 1609, era uno straordinario disegnatore e incisore, e anche un ottimo pittore. Libero e versatile, capace di esprimersi in una molteplicità di linguaggi, rimanendo se stesso. Non a caso lo scrittore darte Giulio Mancini, suo amico, lo aveva definito «pittore universale, sacro, profano, ridicolo e grave».
La mostra, che Bologna gli dedica, dopo quella ormai lontana del 1956, relativa ai tre Carracci - Annibale, il fratello Agostino e il cugino Ludovico - è la sua prima monografica. Ricca, con un documentato e bel catalogo (Electa), si articola in otto sezioni, sobriamente allestite in azzurro, che portano lungo tutto litinerario del pittore: dalle esercitazioni sul «sul vivo» nella città natale alle esperienze nellAccademia degli Incamminati, dallamore per la grande pittura italiana alladozione di un nuovo linguaggio aulico, dal soggiorno romano allattività per il cardinale Odoardo Farnese che lo delude, sino a peggiorare quella sua «malinconia», che lo porterà alla morte a quarantanove anni.
Nella prima sala una parata di autoritratti rivela volto e carattere di Annibale lungo tutte le tappe della vita. Come farà Rembrandt cinquantanni dopo, il pittore racconta, attraverso la propria immagine, il passare dellesistenza, sino al declino. Forte e determinato allinizio, quando ventottenne si ritrae al cavalletto, tavolozza in mano, con tre figure, forse il padre, il nipote Antonio e il fratello che si affaccia a destra. Cinque anni dopo il volto intenso appare col cappello tipico degli artigiani: una dichiarazione di appartenenza a quella classe sociale? Un capolavoro, in ogni caso, che ricorda, per essenzialità e autenticità, gli autoritratti di Van Gogh di tre secoli dopo. E, come nel pittore olandese, anche i suoi si trasformano in negativo sino a diventare quelli di un depresso, trascurato e lugubre, come appare in un bellissimo disegno del 1605.
Unesistenza faticosa, la sua, con molto lavoro e molte delusioni: un lavoro sottile, analitico e colto, come dimostrano le interessanti postille al testo di Vasari, da lui posseduto, oggetto di attente riflessioni. Il prezioso terzo volume delle Vite, del 1568, giunto sino a noi e conservato nella Biblioteca Comunale di Bologna, spicca in una vetrina, vero fiore allocchiello della mostra. Commentato a margine, con unelegante grafia, rivela i pensieri di Annibale: «Noi altri dipintori habbiamo da parlare con le mani» sosteneva. Per questo aveva in antipatia Vasari, così pomposo e teorico. «Le sue pitture sono gofferie... né somigliano in nisuna parte al vivo, ma sono piene daffettationi e fatte senza giuditio». E non è per niente d-accordo con i giudizi dell«invidioso... avarissimo... ignorante Vassari», che «fa poca mentione» di chi vale e parla troppo di chi non vale, grazie a qualche scudo passatogli sottobanco. E che ama solo i fiorentini.
Pensieri intimi, ma che grinta, che sangue bollente. La stessa grinta che Annibale mette nel dipingere le sue macellerie, con buoi squartati, coltellacci e macellai al lavoro. Sembra di sentire lodore di quelle botteghe bolognesi, con le bistecche ben allineate sul banco. E niente ironia o scherno, ma un gran rispetto per il lavoro.
E il Mangiafagioli? Altra meraviglia, quel contadino incappellato, che mangia rumorosamente, sbrodolando, la sua minestra di fagioli, stringendo nellaltra mano un pezzo di pane. Su quella tavola povera, tutto il sapore mediterraneo: cipolle, pane, torta di verdura, vino. E di fianco, la finestrella con la scarsa luce... Il Ragazzo che beve, visto di scorcio, con quellampolla in mano e la faccia visibile attraverso il bicchiere, anticipa il realismo di Velázquez, come la Testa di uomo che ride («Il buffone»), una vera e propria istantanea popolare.
Tutto di gran fascino, ma si tratta solo dellinizio di un percorso complesso, che porta nella pittura sacra e profana di Annibale, dalle pale daltare agli affreschi, dai ritratti ai paesaggi, con disegni preparatori, schizzi e incisioni. Un panorama ricostruito con opere certe o attribuite, con ancora qualche dubbio, che si conclude nella Pinacoteca Nazionale con unaltra mostra, in cui sono esposte opere dei tre Carracci di recente attribuzione o acquistate nel XX secolo.
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LA MOSTRA
Annibale Carracci, Bologna, Museo Civico Archeologico, sino al 7 gennnaio; Roma, Chiostro del Bramante, 25 gennaio-7 maggio 2007.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.