
È Luca Armellino, sardo giramondo, il nuovo chef del Caffè dell’Oro, il ristorante del Portrait di Firenze, di proprietà dei Ferragamo. Il ristorante è stato chiuso per un accurato restyling e alla riapertura ha salutato Antonio Minichiello, che molto aveva fatto negli anni precedenti per condurre questo locale nel gotha della ristorazione fiorentina (tra i migliori bistrot d’Italia secondo il Gambero Rosso). Armellino riceve un’eredità molto interessante e promette di mantenere il livello e puntare, nel caso, ancora più in alto.
Armellino, come detto, ha conosciuto tante esperienze malgrado in fondo abbia quarant’anni, età che in molte professioni appartiene ancora alla sezione “giovani”. Ha lavorato a Roma con Francesco Apreda quando lo chef napoletano guidava l’Imàgo issato in cima all’hotel Hassler, il ristorante con la vitsa – probabilmente – più bella d’Italia. Po esperienze al Noma di Rene Redzepi, per qualche anno il ristorante più influente del mondo, dove ha appreso il rigore nordico, quindi il St Hubertus con Norbert Niederkofler, la Spagna (il bistellato Amelia di Paulo Airaudo a San Sebastian) per imparare l’approccio cinematografico della cucina iberica, l’elettrica New York del tristellato PerSe con Thomas Keller, il Giappone italianizzato con Luca Fantin al ristorante del Bulgari Hotel di Tokyo, poi delle consulenze food and beverage tra cui una particolarmente rilevante a Budapest.
Con questo passaporto pieno di timbri la cucina di Armellino non può che essere ricchissima di contaminazioni e ispirazioni, ma lui è certamente bravo a mantenere dritta la barra dell’italianità, che in alcuni momenti trae anche profitto dalla stessa Toscana, che compare qua e là nei piatti e che certamente accrescerà il suo ruolo man mano che Armellino conoscerà il territorio.
In realtà l’inizio è affidato al Bao al vapore con il maialino che compariva già nel menu precedente, come a simboleggiare un atto di continuità e un omaggio a quanto di buono (tanto) Minichello aveva fatto. Poi la Tostada di gambero rosso con guacamole e gel al limone, che è un ricordo di strada di Città del Messico che Armellino rievoca volentieri. Poi un Brodo freddo di acqua di pomodoro e sambuco con pomodorini estivi in varie consistenze che è un tributo alla stagione e al contempo un incrocio tra suggestioni nordiche (ben rappresentate dalla scelta di una presentazione minimale) e dalla mediterraneità dei sapori. La Fregola è un omaggio alle radici isolane dello chef ed è presentata con salsa allo zafferano, carpaccio di capasanta, salicornia e bottarga. Poi dei Ravioli del plìn ripieni al “cintale”, che è un cinghiale di Cinta, con mirtilli fermentati e chips di nervetti e un Branzino al vapore con verdure di stagione al quale la maionese al wasabi e le chips di alga nori con uova di salmone che chiude la parte salata del percorso. Finale con Tiramisù toscano con cantuccini di Prato e gel al vin santo servito in una tazza a forma di moka. Già visto, ma si lascia godere.
I prezzi sono naturalmente da Ponte Vecchio. Le tapas costano dai 15 ai 21 euro, gli antipasti da 18 a 26, i primi da 28 a 38, i secondi da 28 a 54, i dessert da 12 a 18. Parliamo naturalmente della cena, perché a pranzo la proposta si semplifica e diventa più internazionale. C’è anche un menu bambini e un menu colazione sul quale il locale punta molto.
Carta dei vini misurata, studiata da Salvatore Biscotti, sommelier del vicino Borgo San Jacopo dello stesso gruppo. Servizio accorto. Il locale è stato rinfrescato e ha un’estetica più pulita in bilico tra classicismo e modernità, un’ispirazione anni Cinquanta non originalissima ma comunque elegante, dominata ora da uno scenografico bancone bar che si rende coerente con la parola caffè che compare nell’insegna.
La sfida di Armellino è chiaramente quella
di conquistare i fiorentini, tradizionalisti e diffidenti come spesso i local sono nei confronti dei locali nelle zone più turistiche. Vale la pena provare a fare amicizia tra la città e uno dei suoi ristoranti migliori.