Antiterrorismo, due opposti teoremi politici

Ruggero Guarini

Sugli effetti del caso Abu Omar sulla nostra vita quotidiana ho appena intercettato in trattoria il seguente battibecco fra due signori che chiamerò A e B.
A – «Hai letto questa mattina, sul Corriere della Sera, l’artico di Pierluigi Battista sull’infortunio in cui è incappato quello spione di Renato Farina? Trovo giustissime le sue osservazioni sul dovere morale e professionale dei giornalisti di non mescolare alla loro attività dei ridicoli giochini da 007 con licenza di infrangere la legge. Ma perché ha evitato di ricordare che il suo amico Giuliano Ferrara fece anche lui, trent’anni fa, la spia per la Cia? E dire che allora non c’era nemmeno l’alibi terrorismo e di quella che alcuni chiamano la quarta guerra mondiale fra l'Occidente e l’Islam».
B – «Be’, c’era ancora la terza: la guerra fredda. E poi non trovo affatto deplorevole che molti di coloro che, come Ferrara, dopo aver abbandonato la loro vecchia patria comunista, hanno riconosciuto nell’Occidente e negli Stati Uniti, che dell’Occidente sono da ormai più di un secolo la principale espressione, la loro nuova patria, per difenderla dai suoi nemici siano disposti a fare anche le spie».
A – «Vedo che ti rifiuti di giudicare la politica internazionale non solo col metro della morale ma anche con quello del diritto civile e penale. Dunque non approvi il grande principio posto dai latini alla base della nostra civiltà giuridica?»
B – «Di quale principio parli?»
A – «“Fiat justitia, pereat mundus” (si applichi la legge, caschi il mondo)».
B. – Applicare questo motto anche ai casi della politica mondiale è insensato moralismo giudiziario. Se l’Occidente vi si attenesse nel corso di questa lotta mortale contro l’attacco islamista sarebbe fottuto. Proverò a dimostrartelo con un esempio tratto dalla storia della seconda guerra mondiale. Se l'America, prima di Pearl Harbour, avesse rapito e magari torturato un giapponese informato dell’attacco, avrebbe certo infranto le sue leggi. Ma avrebbe anche evitato la distruzione della sua flotta, con tutti quei morti americani uccisi a tradimento. Ecco perché in casi del genere, come ha osservato in una sua nota un osservatore molto acuto, Gianni Pardo, dovremmo dire piuttosto «pereat ius, fiat mundus».
Perché ho riferito questo battibecco? Perché dimostra che tutte le posizioni emerse dalla controversia sul caso Abu Omar (nonostante molte sfumature inessenziali che possono interessare soltanto gli esperti del ramo «rapporti fra la Politica internazionale e il Diritto civile e penale») si riducono essenzialmente a due opposti teoremi etico-politici. Il primo afferma: gli Stati Uniti sono oggi il principale nemico dell’umanità; il loro nemico principale è il terrorismo islamista; dunque è giusto sbattere in galera chi tenta di contrastarlo.

Il secondo invece sostiene: il principale nemico dell’Occidente e della sua civiltà, nonché, a causa della sua scelleratezza demoniaca, dell’umanità intera, è il terrorismo islamista; la sola potenza occidentale che ha non soltanto il diritto ma anche il dovere di contrastare, nonché la possibilità di sconfiggere questo nemico, sono gli Stati Uniti; dunque chi sbatte in galera chi tenta di aiutarli in questa impresa è un nemico dell’Occidente, e forse dell’umanità.
Il resto è puro, pretestuoso, ipocrita blablà.

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