Anziana e disabile usata come "cavia"

L'ultimo choc. Approfittavano del suo stato per fare esami invasivi senza chiedere il permesso. La Procura: "L'unico obbiettivo era gonfiare i rimborsi"

Anziana e disabile usata come "cavia"

Milano - «Mi hanno fatto firmare un foglio senza neanche farmelo leggere»: così, nella stragrande maggioranza dei casi, i pazienti della clinica Santa Rita finiti sotto i ferri di Pierpaolo Brega Massone raccontano alla Guardia di finanza il loro impatto con il primario di chirurgia toracica e il suo staff. Ma ora dalle carte dell’inchiesta emerge una storia ancora più dura da digerire. In almeno un caso, a venire sottoposta ad un intervento inutile e brutale è stata una donna non più in possesso delle sue facoltà mentali. Una poveretta ormai in là con gli anni, affetta da demenza senile, cui nella clinica di via Jommelli vennero effettuate - con l’unico obiettivo, secondo le accuse della Procura, di gonfiare l’importo dei rimborsi pubblici - una Vats, cioè una toracotomia, la resezione del lobo inferiore e una serie di biopsie pleuriche. Tutti esami altamente invasivi. E tutti inutili.

La storia di Colomba S., 75 anni, costituisce ora il capo d’accusa numero 75 a carico del dottor Brega e dei suoi aiutanti, Fabio Presicci e Marco Pansera, tutti finiti agli arresti nella retata di una settimana fa. L’intervento avviene alla Santa Rita il 28 marzo scorso, quando le indagini su quanto avviene nella clinica del notaio Pipitone sono già in corso da diversi mesi. Ma Brega continua ad operare, e serviranno ancora molti mesi perché Pipitone - pressato dalle indiscrezioni sull'inchiesta della Procura - decida di sospendere il primario dall’incarico. Nel frattempo gli interventi inutili continuano. La signora Colomba arriva alla Santa Rita con un quadro clinico pesante. È affetta da una broncopneumopatia cronica, è già sottoposta a terapia domiciliare con l’ossigeno. E, soprattutto, non è più mentalmente autosufficiente. Non è in grado di comprendere la situazione in cui si trova, di decidere lucidamente. Eppure viene sottoposta ad un calvario chirurgico senza alcuna ragione.

Scrivono i pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano nella richiesta di arresto: «I medici effettuavano sulla medesima un intervento inspiegabile, a fronte di un quadro clinico che non aveva indicazione chirurgica ma necessitava esclusivamente di scelta terapeutica, ed anzi assai pericoloso per la paziente». Per questo episodio, a Brega e al suo staff viene contestata l’aggravante di avere agito «con crudeltà sulla persona in un paziente di elevata fragilità per l’età e le gravi patologie in atto». Quante storie di questo genere sono ancora nascoste nell’archivio delle cartelle cliniche della Santa Rita? I finanzieri che in questi giorni stanno ricevendo le denunce dei pazienti sono convinti di avere già individuato la maggior parte dei casi in cui la colpa dei medici appare evidente. Ma è inevitabile che qualcosa possa essere sfuggito. Così, ogni denuncia viene esaminata con grande attenzione.

Negli uffici delle Fiamme gialle i pazienti della Santa Rita e i loro familiari vengono ascoltati a lungo. A volte, i finanzieri si trovano a dover offrire soprattutto sostegno psicologico. Spesso devono spiegare che non tutte le operazioni e non tutte le morti avvenute in via Jommelli sono dovute a malafede. Ma c’è una categoria di episodi che comunque finisce sotto la lente di ingrandimento. È quella che ha per protagonisti pazienti ormai anziani - dagli ottant’anni in su - sottoposti in Santa Rita a raffiche di interventi chirurgici in archi di tempo ristretti.

La linea difensiva di Brega e dei suoi coimputati ormai è chiara: la scienza medica è opinabile, le strategie di intervento variano da medico a medico, e la diversità di opinioni non può essere considerata un reato. È vero, ribattono gli investigatori, ma sino ad una certa soglia: e in via Jommelli questa soglia veniva superata sovente. Specie con i più deboli.

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