Arte del Gandhara il ritorno di Buddha all’Archeologico

Il museo di corso Magenta ha rinnovato la sezione orientale: 35 pezzi che coprono 13 secoli di storia tra Afghanistan e Pakistan

Marta Bravi

Al museo Archeologico di corso Magenta è stato inaugurato il nuovo allestimento della preziosa sezione di arte del Gandhara, fino a qualche settimana fa sacrificata in un angusto corridoio. «Le vetrine erano piccole, l’illuminazione desueta e soprattutto mancavano dei pannelli esplicativi che permettessero al visitatore occidentale di comprendere e apprezzare un tipo di arte sacra poco conosciuta e complessa» spiega Anna Provenzali, conservatore del museo e curatrice del nuovo allestimento.
Ecco allora delle nuove vetrine profonde a spaziose, un’illuminazione a fibre ottiche che permette di fare luce su specifiche parti delle statue e dei rilievi, grandi pannelli in italiano e in inglese, corredati di immagini, disegni, apparati esplicativi storici e filosofici. Trentacinque pezzi che coprono tredici secoli di storia: si parte della spedizione di Alessandro Magno nel 327 a.C. nel Gandhara, regione che corrisponde agli attuali Pakistan settentrionale e Afghanistan nord orientale, per arrivare all’arte della «via della seta» del X secolo. In mostra statue di Budda o dei Bodhisattva, figure sacre cui i buddisti si rivolgono in caso di bisogno, bassorilievi in pietra raffiguranti scene della vita di Siddharta: il giovane illuminato destinato a diventare il Buddha. Questi rilievi, che circondavano la parte superiore del supa, edificio sacro intorno al quale il fedele compie il cammino rituale, ritraggono la scena del sogno premonitore della regina Maya: un elefante bianco che la penetra nel fianco destro, e l’interpretazione del sogno da parte dei saggi di palazzo: la regina sarebbe diventata la madre di Buddha, e a chiusura del percorso, una statua indù del X secolo, risultato di un sequestro all’aeroporto di Linate, acquistata dal Museo dopo anni trascorsi nel polverosi magazzini della sovrintendenza archeologica della Lombardia. Il cerchio in mezzo agli occhi, la protuberanza sulla testa, molto simile a una crocchia di cappelli, la mano rivolta verso il basso e i lobi delle orecchie allungati costituiscono la tradizione iconologica buddista. I pannelli diventano, quindi, un supporto indispensabile per cogliere fino in fondo i simboli tipici dell’arte del Gandhara e i concetti cardine della filosofia buddista.
La collezione esposta è il frutto degli acquisti fatti durante gli anni ’80 dall’allora direttore delle Civiche Raccolte, Ermanno Arslan, acquisti travagliati da molti dubbi e perplessità, per il timore di incrementare il mercato antiquario basato sulla rapina e sulla depredazione dei territori. «Considerando tuttavia le attuali vicende militari - scrive Donatella Caporusso, conservatore responsabile delle Civiche raccolte archeologiche - in cui tali paesi sono coinvolti, e la distruzione a cui quelle culture e quei luoghi sono stati sottoposti, forse non è male che una piccola collezione sia approdata a Milano, salvandosi probabilmente dalla perdita totale. La raccolta si è arricchita di recente di un ulteriore reperto, un dono che Arslan ha voluto fare al Museo, cioè un piccolo reliquiario presentato per la prima volta nel catalogo della mostra».

La collezione del Gandhara posseduta dal museo meneghino è ancora più preziosa in quanto in Italia ne esistono solo due: la più importante si trova a Roma al museo di Arti Orienatali, l’altra è quella di Milano.

Museo Archeologico di Milano, corso Magenta 15, martedì - domenica h 9 -13/ 14 - 17.30, biglietto ingresso intero 2 euro, ridotto 1, info 02-8645.1456.

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