Venezia - Adesso la faccenda si è finalmente chiarita e per pronunciarsi non c’è bisogno di aspettare il nuovo film di Pupi Avati, escluso dal concorso del Lido per lasciar libero il posto ad altre pellicole italiane. La visione de La pecora nera di Ascanio Celestini, primo film italiano in concorso, pur applaudito per ben sette minuti, ieri sera ha confermato tutte le perplessità della vigilia sulla scelta fatta dai selezionatori della Mostra in favore di questa opera prima a scapito di Una sconfinata giovinezza. Intervistato dal Giornale, il direttore Marco Müller ha rivelato di essersi trovato di fronte a cinque voti contrari dei suoi selezionatori, mentre per tutti gli altri film proposti c’è stata l’unanimità dei consensi, Celestini compreso. Non si può che dissentire e chiedersi davvero quali criteri presiedono alla scelta delle pellicole per il concorso. La qualità narrativa? La capacità di scandalizzare? La scommessa su un autore esordiente? Tutti criteri che potevano essere soddisfatti con la programmazione in qualche sezione parallela.
La pecora nera visto ieri qui al Lido è l’ultimo anello di una lunga catena produttiva iniziata parecchi anni fa da Celestini con il libro, proseguita con lo spettacolo teatrale e continuata con il dvd. Vi si racconta la vicenda di Alberto Paolini, 42 anni di manicomio, insieme alla storia di Nicola (lo stesso Celestini e Luigi Fedele negli anni infantili), «pecora nera» già a scuola e accudito dalla nonna perché la madre è a sua volta internata nella casa dei matti. L’ospedale psichiatrico è descritto quasi con leggerezza. «Non ho voluto fare un film di denuncia sulla barbarie dei manicomi», ha spiegato Celestini, «piuttosto sui manicomi come istituzione alienante e criminale in se stessa».
Suore poco spirituali che scoreggiano nei corridoi, infermieri silenti e inoperosi, pazzi inoffensivi e quasi simpatici. Nel manicomio Nicola conduce vita parallela con Alberto (Giorgio Tirabassi): sono i matti più «affidabili» cui ricorre la suora per fare la spesa al supermercato, altro non-luogo centrale del film. Qui Nicola ritrova Marinella (Maya Sansa), fiamma infantile, e per un attimo la vicenda sembra prendere la strada della commedia. Ma qui Celestini ambienta anche la sua critica alla società mercantile. I due matti scorrazzano con il carrello tra gli scaffali, ma Celestini non risparmia di spiegare all’amico che «ti vogliono far comprare quello che hanno deciso loro, i prodotti di qualità costano di più e quelli che scadono dopo sono messi in fondo agli scaffali». Alla fine il supermercato sembra quasi più spersonalizzante del manicomio. «Sicuramente c’è la stessa folle compulsività e alienazione», conferma Celestini. «E lo stesso si può dire della scuola, del carcere o della caserma: luoghi di costrizione dell’individuo. Perciò la mia è una critica più etica che ideologica».
L’andirivieni tra anni ’60 e ’80, tra marziani e santi («gli infermieri sono santi, le suore sono sante e il direttore è il capo dei santi»), tra il supermercato e il manicomio è reso ancor più straniante dalla voce fuori campo dell’autore-attore-regista che ripropone le affabulazioni dello spettacolo teatrale farcite di detti contadini del tempo che fu e inframmezzati dal solito fastidioso «piiiio, piopiopiopiopio» celestiniano. E poi, un tormentone dietro l’altro: «Se si mettono le cose in ordine, poi si ritrova tutto»; oppure: «Io ti ho fatto e ora ti disfo». Il tutto si può chiamare teatro-cinema o «linguaggio evocativo», come fa Celestini perché, «tra ciò che si vede e ciò che si ascolta, ho tentato di evocare un altro livello di partecipazione. La verità è che nel passaggio dallo spettacolo teatrale al film non mi sono preoccupato di come far arrivare la storia».
E si vede. Il risultato è sconfortante, faticoso, molto poco cinematografico: un monologo sopra le immagini prolungato per novanta minuti. Un’opera simile avrebbe trovato collocazione più appropriata in una delle tante rassegne parallele della Mostra. Da spettatore, chiediamo all’autore, non sembra anche a lei un po’ sopravvalutata la programmazione in concorso? «Guardi, io sono qui, anche molto in ansia - risponde -. E non capisco nemmeno troppo bene la differenza tra le varie sezioni...».
Di certo, almeno una gli organizzatori l’hanno azzeccata: programmare già al secondo giorno La pecora nera, via il dente via il dolore della polemica. Evitando così che finisse per annerire tutta la Mostra. Dopo il libro, lo spettacolo teatrale, il dvd e il film (nelle sale dal 15 ottobre), ora manca solo il videogame.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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