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Attentato di Kabul, la procura militare indaga sulle misure di sicurezza

Verificare se tutte le misure di protezione per il contingente italiano che opera in Afghanistan erano state predisposte anche in occasione della strage di Kabul del 17 settembre in cui sono porti i sei parà della Folgore. È questo l’obiettivo dell’indagine avviata dalla procura militare del tribunale di Roma. I Lince colpiti in Italia per accertamenti

Attentato di Kabul, la procura militare indaga sulle misure di sicurezza

Roma - Verificare se tutte le misure di protezione per il contingente italiano che opera in Afghanistan erano state predisposte anche in occasione della strage di Kabul del 17 settembre in cui sono porti i sei parà della Folgore. È questo, a quanto si apprende, l’obiettivo dell’indagine avviata dalla procura militare del tribunale di Roma. Allo stato non viene ipotizzata alcuna ipotesi di reato. «Stiamo monitorando la situazione», si precisa negli ambienti della Procura militare.

L’indagine si muove così come già avvenuto in altre drammatiche vicende che hanno visto la morte dei soldati italiani inviati in missione di pace in zone di guerra. Il più grave degli episodi fu quello della strage di Nassiriya dove persero la vita 17 soldati italiani e due civili. Il processo incardinato dalla procura militare di Roma si è concluso nel dicembre del 2008 con la condanna del generale Bruno Stano (comandante della missione Antica Babilonia) per l’accusa di non aver adottato tutte le misure di sicurezza per la difesa della base Maestrale, scenario della strage.

La nuova inchiesta si muove «in ambito paradisciplinare» così come quella sulla strage di Nassiriya. Probabilmente gli inquirenti vogliono accertare la dinamica che ha preceduto la strage: in particolare se durante il tragitto dei due «Lince» tutte le misure di sicurezza erano state adottate nel rispetto degli standard previsti.

I Lince in Italia Il procuratore aggiunto di Roma Pietro Saviotti ed il sostituto Giancarlo Amato, i due magistrati che indagano per l’attentato, sono orientati a far rientrare in Italia i due mezzi blindati «Lince» coinvolti nell’attacco per sottoporli ad accertamenti balistici. Lo si è appreso in ambienti investigativi. Di uno di questi, il primo della colonna e quello maggiormente colpito dall’onda d’urto, rimane ben poco. Lo scoppio dell’autobomba ha determinato un cratere profondo 70 centimetri, largo due metri per tre. Circa 150 i chili di esplosivo - secondo i primi accertamenti - collocati sulla Toyota utilizzata da un kamikaze.

Spari per allontanare sciacalli Dopo lo scoppio dell’autobomba, i quattro feriti che si trovavano sul secondo Lince, una volta usciti dal mezzo blindato, hanno udito spari arrivare, probabilmente, da un’altura. Si sono quindi messi al riparo e solo quando la situazione era tranquilla hanno a loro volta sparato colpi in aria per scongiurare atti di sciacallaggio sui cadaveri dei commilitoni. È quanto emerge dal racconto di uno dei militari feriti fatto alla polizia giudiziaria a Kabul e acquisito dai magistrati romani, il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ed il sostituto Giancarlo Amato, titolari dell’inchiesta giudiziaria. I magistrati, inoltre, intendono accertare, alla luce della rivendicazione dei talebani - i quali hanno preso le distanze dalla morte dei civili afghani - cosa abbia provocato il decesso di questi ultimi.

Analogo accertamento sarà eseguito anche sulla tipologia delle ferite riportate da altri civili.

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