Attori e musicisti in giro per i paesi per raccogliere storie ed emozioni

Possono un musicista e due attori appassionati incidere, lasciare segni, suscitare interesse in una realtà provinciale dove l’idea di teatro non è abitudine consolidata? Guardando ai risultati raggiunti da Silvestro Pontani, Gloria Sapio e Maurizio Repetto «durante» e al termine del progetto «Medaniene giovani - Ad oriente di Roma - La casa del tè», promosso dalla Regione in sinergia con l’Atcl e svoltosi per alcuni mesi in cinque paesi della Valle dell’Aniene, la risposta non potrebbe che essere positiva. Lo attestano i ricchi materiali di documentazione realizzati a margine dell’iniziativa: un diario di bordo che ha tutto il generoso sapore della cronaca letteraria e un video che trasuda umanità senza rischiare toni autocelebrativi. Ma lo attesta soprattutto la gente che ha accolto questi «stranieri» in casa, è stata ad ascoltarli, si è fatta a sua volta ascoltare.
«Siamo partiti per Roviano. È il nostro primo incontro - suona l’incipit del diario - e siamo euforici. Il bagagliaio della macchina è pieno di bottiglie e di idee: i ferri del mestiere. Non sappiamo ancora se la nostra formula convivial-teatrale avrà un impatto felice (...)». Una formula (all’apparenza) semplice la loro: chiamare a raccolta i cittadini di Anticoli Corrado, Roviano, Vivaro Romano, Vallinfreda e Riofreddo in luoghi familiari (biblioteche, centri anziani, sale comunali) e invitarli a raccontare, ricordare, parlare delle loro storie, delle storie dei loro padri, dei loro nonni. «Abbiamo cercato - spiega la stessa Sapio - di stabilire una comunicazione con queste persone che fosse fruttuosa per entrambi: loro hanno avuto la possibilità di rinsaldare le proprie radici tirando fuori quanto la memoria suggeriva via via; noi abbiamo accumulato una ricchezza di esperienze umane davvero impareggiabile». A fare da necessario collante sono intervenute, poi, le nuove generazioni locali: figli, nipoti, invitati ad appropriarsi di quei racconti (racconti di donne che lavano chili di panni alla fontana o di fornaci per cuocere la pietra o di ricotte fatte cagliare di notte) e a «recitarli» ai loro vecchi come si trattasse di un’eredità ormai condivisa da tutti. E in definitiva è questo ciò che più conta.

Perché operazioni del genere - al di là delle definizioni possibili (teatro di narrazione, teatro sociale, teatro della memoria) - debbono servire essenzialmente ad aggregare, a mettere in evidenza la tradizione e le caratteristiche di ogni singola realtà. Per non sciuparle ma tradurle, anzi, in un sostrato di valori da trasferire a chi verrà dopo. Motivo per cui l’auspicio, adesso, è che il progetto continui e trovi nuovi luoghi e nuove formule per prendere corpo.

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