"Quando D'Alema dovette mollare la casa. E Feltri mi convocò: Ora sei assunto"

Il direttore del Tg1 Gian Marco Chiocci, all'epoca giovane cronista: "Mattone e potenti, scoprimmo un verminaio"

"Quando D'Alema dovette mollare la casa. E Feltri mi convocò: Ora sei assunto"

Oggi è direttore del Tg1, dopo aver guidato Tempo e Adnkronos. Ma trent'anni fa Gian Marco Chiocci era appena sbarcato nella redazione romana del Giornale, dove poi sarebbe rimasto come inviato per 18 anni. E quell'estate del 1995 la ricorda ancora molto bene. "Ero arrivato in prova al Giornale, sostituzione estiva", racconta. "In una di quelle calde giornate nelle quali non succede niente, un collega dell'economia, Francesco Casaccia, lesse un'agenzia che a gran parte di noi sembrò superflua: gli asset immobiliari degli enti previdenziali non rendevano bene. Invece Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, direttore e vice, si accesero subito per la notizia, e chiesero al capo della redazione romana Andrea Pucci, oggi direttore delle news di Mediaset, di mettere in piedi una squadra per andare a vedere che cosa c'era dietro questo dato".

E avete iniziato a camminare.

"Nessuno di noi era entusiasta all'inizio. Però Feltri ci aveva visto lungo. Pucci aveva sguinzagliato me, Casaccia e due stagisti, Michele Lella e Maurizio Sgroi. Cercammo di capire se c'erano inquilini eccellenti in queste case affittate a poche lire. Poi saltò fuori una gola profonda e arrivarono i primi elenchi dell'Inps. Con i nomi eccellenti, arrivò la levata di scudi della politica, gli attacchi al Giornale, le accuse di populismo, le dichiarazioni dell'allora ministro del lavoro e della previdenza sociale, Tiziano Treu".

Treu che però poi, a metà di quell'agosto, chiese agli enti elenchi e criteri di assegnazione.

"Dopo i primi nomi s'era aperta una voragine, arrivarono altre fonti. Ma lo scandalo si estese soprattutto grazie al lavoro pazzesco di noi cronisti. Andammo per strada a cercare ogni singola notizia e a verificare ogni informazione, palazzo per palazzo, citofono per citofono. Quante secchiate d'acqua sporca e scopettate abbiamo preso dai portieri, quante volte siamo stati rincorsi".

Non tutti erano felici delle rivelazioni.

"Figuriamoci. Ma ci furono sindacalisti coraggiosi che sfidarono il diktat del silenzio, e il bubbone venne alla luce. Fu coinvolta l'intera redazione romana. Da quattro cronisti che eravamo all'inizio, finimmo a lavorare sull'inchiesta in dodici. E più andavamo avanti, più uscivano fuori nomi incredibili. E più questa storia faceva vendere. Feltri non mollò l'osso e ci lasciò a briglia sciolta, con la sapiente regia di Pucci. E a forza di scavare, leggere, suonare campanelli, finimmo a Trastevere, via Musolino".

La famosa casa Inpdap di Massimo D'Alema?

"L'allora segretario del Pds occupava 140 metri quadri per poco più di 600mila lire. All'inizio provò a controbattere, ma spuntò un sindacalista che raccontò come i politici e i vip riuscivano a passare davanti a tutti nelle graduatorie. E scoppiò, per dirla all'inglese, un grandissimo casino".

Che non si limitava a Baffino.

"Macché. Politici, sì, ma pure sindacalisti, giornalisti, pezzi grossi di forze armate e forze dell'ordine, top manager, attori. L'allora segretario della Cisl Sergio D'Antoni, per esempio, aveva una casa ai Parioli con tanto di Jacuzzi. Insomma, un delirio, una realtà inimmaginabile: in tutti i palazzi degli enti previdenziali, soprattutto se pregiati, c'erano pezzi grossi. Il lavoro successivo è stato chiarire come questi personaggi avevano potuto scavalcare i comuni mortali che si erano legittimamente messi in coda negli elenchi. E dei politici, molti di primo piano, tanti erano esponenti di partiti di sinistra. Avevano fregato i cittadini per farsi assegnare a due soldi attici in centro. Sembrava tutto giornalisticamente troppo bello per essere vero. Ma lo era".

Nessuno poté far più finta di niente.

"Il resto della stampa che fin lì ci aveva snobbati ci venne dietro. Quotidiani stranieri ci riconobbero il merito di aver scoperchiato un verminaio con un'inchiesta impeccabile vecchia maniera. La magistratura aprì un'inchiesta, i criteri di assegnazione delle case vennero cambiati. Fu un grande successo. Che permise a me e a tanti altri giovani cronisti di fare, e per davvero, questo mestiere, anche perché la direzione ci diede carta bianca e tanta fiducia. Feltri era contentissimo per il record di vendite del Giornale, che venne battuto solo con l'inchiesta sulla casa di Montecarlo".

Aveva avuto ragione lui.

"Diceva che gli italiani perdonano quasi tutto ai politici: vizi, droga, scandali sessuali. Ma fare i furbetti sulla casa no, non è tollerato. E visto che abbiamo citato Montecarlo, pure l'allora presidente della Camera cadde rovinosamente per quattro mura. Dopo quell'inchiesta, che conosciamo bene, Fini non si è più ripreso. Io, invece, per Feltri sono diventato l'inviato immobiliare.

Diamo anche atto a D'Alema d'aver mollato l'affitto privilegiato, non limitandosi a prometterlo come tanti: segretari di partito, politici, figli di politici. Che forse abitano ancora lì. Ah, il giorno dopo la resa di D'Alema Feltri mi chiamò: Domani passa in segreteria, sei assunto. Una gioia immensa".

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica