Da Brooke Shields all'Unità, quando a far polemica è un jeans

L’ultima bufera è sullo spot dei pantaloni con Sydney Sweeney

Sydney Sweeney
Sydney Sweeney
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Jeans, sempre jeans, fortissimamente jeans. Dalla pubblicità con Brooke Shields che nel 1980 diceva maliziosa: "Sapete cosa c'è tra me e i miei Calvin's? Niente” alla réclame dell’Unità (in versione ragazza in minigonna di jeans col sedere in primo piano) per “sollevare” i lettori di sinistra. Quest’ultimo un flop clamoroso grazie al sodalizio woke (ma all’epoca la parola non era ancora stata coniata) Oliviero Toscani-Concita De Gregorio (la direttrice del 2008) che, non temendo il ridicolo, affermava da “coerente”femminista: “Anche Gramsci lo avrebbe fatto. L’immagine scelta non deve destare scandalo. Il corpo di una donna questa volta viene usato per pubblicizzare un prodotto intellettuale. Mi sembra pertinente.

È molto peggio quando è utilizzato per accompagnare la pubblicità di un’auto oppure un detersivo per i piatti». Ma questo è il passato. Veniamo al presente. Con tanto di corsi e ricorsi storici, anche se Giambattista Vico si rivolterà nella tomba.



Niente di meglio di un paio di pantaloni sdruciti per dar voce ai sorprendenti messaggi “socialmente consapevoli” e “anti disuguaglianze”: formule care a chi ha l’abito (mentale) griffato progressista. Il giochetto è però ormai noioso, anche se e si sta ripetendo con l’ultima campagna dei jeans American Eagle: colosso a stelle e strisce di quelle che furono in origine “braghe operaie” per poi imborghesirsi strada facendo. Insomma, l’accessorio perfetto per entrare nel mirino dei cavalieri galoppanti del mainstream. La nemica da abbattere? I jeans Usa (ma non “getta”, considerato che costano un botto), con annessa la sua testimonia: l’emergente Sydney Sweeney, probabile futura Bond girl, cui l’American Eagle ha affidato una missione da 007 degna del suo compagno James (Bond): pubblicizzare i pantaloni intergenerazionali più indossati al mondo. Ma subito è arrivata la delirante scomunica della Chiesa Woke sotto forma di accusa di “razzismo eugenetico” (addirittura!). Motivo? Lo lslogan: “Sydney Sweeney has great jeans”, che - a parere dei sacerdoti del politicamente corretto - “è un discriminatorio gioco di parole tra jeans e genes (geni) che richiama ideologie e concetti legati ai lager nazisti”.

Una boutade? No, l’accusa è stata presa terribilmente sul serio dai media internazionali dopo che il Washington Post ha dato fiato alle trombe: “Una modella bionda, dagli occhi chiari, associata a un messaggio che sembra celebrare una genetica superiore”. Vade retro, hanno sentenziato senza appello i giudici del tribunale del PC (Politically Correct) in guerra contro i “suprematisti dell’America Eagle”. La buonanima di Oliviero Toscani (ancora lui…) non può non essere ancora citata. Fu proprio il fotografo “trasgressivo” (all’epoca non accora obbiettivo vivente del marchio Benetton) che nel 1973 scattò per i jeans Jesus il clic zoomando sul sontuoso lato b della modella Donna Jordan accompagnato al celebre claim “chi mi ama, mi segua”. Toscano spacciò il tutto come un inno alla “libertà della donna”. La parola woke nel ‘73 era ancora sconosciuta. Oggi è ovunque. E si infila anche nei pantaloni.

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