
Oggi Emanuele Capone, nella sua “Colazione con Capone” (quando apro Instagram faccio sempre colazione con Capone), si chiede perché Taylor Swift non dica niente su Gaza (o meglio si chiede perché debba secondo i fan dire per forza qualcosa su Gaza), domanda legittima, visto che una sua caption sposta più opinione pubblica di un comizio. Solo che qui vale il solito teorema dell’artista in tempo di guerra: se parli hai sbagliato per metà del pubblico, se taci hai sbagliato per l’altra metà, quindi condanna garantita a prescindere, applausi o fischi dipendono solo dal lato del fronte. E c’è pure (sono andato a spulciarmi Reddit) la sottocategoria dei fan che la accusano direttamente di essere a favore di Israele semplicemente perché non ha detto niente, boh, perché non ha detto niente: boh.
Come se tutti dovessero per forza dire qualcosa, e se non la dicono stai dalla parte di chi dovresti condannare. C’è la terza via, la più redditizia: dire tutto senza dire niente, il “basta le guerre” dei pacifisiti, tipo Jovanotti e Vasco Rossi, formula multiuso che funziona per Gaza, per l’autostrada, per i litigi in chat condominiale, per qualsiasi cosa. Vasco (e lo dico da fan di Vasco, beninteso) lo urla al pubblico, “basta con la guerre”, applausi, e attacca “Gli spari sopra” e tutti a casa con la sensazione di essere stati dalla parte giusta, di cosa non è chiaro, però si balla e va bene così, in ogni caso per Vasco entusiasmo e incasso garantito.
In mezzo, c’è sempre chi giudica a posteriori: Red Ronnie, per esempio, che ha raccontato di non aver mai voluto intervistare Freddie Mercury perché aveva suonato a Live Aid quando c’era l’Apartheid, come se Freddie dovesse essere il Mandela della discografia. Peccato che Freddie non abbia mai preso posizione su niente, e soprattutto non poteva fregargliene di meno, non sapeva neanche chi fosse Red Ronnie e in generale odiava i giornalisti e rilasciare interviste (figuriamoci a Red Ronnie, se avesse saputo chi era). Perché poi un cantante dovrebbe prendere posizione per forza, e perché il metro di giudizio dovrebbe essere la purezza ideologica retroattiva, resta un mistero (andrebbe chiesto agli alieni che incontra Red Ronnie).
Non è solo Vasco, anche amiche mie, come Marisa Laurito e Barbara Alberti, le quali continuano con gli appelli per “fermare le guerre”, la famosa resistenza da divano, foto profilo in assetto umanitario e nessun rischio di scontentare troppa gente. Parentesi doverosa: in realtà una presa di posizione c’è eccome, contro Israele sì, o meglio pro Palestina sì, mentre sul riarmo dell’Ucraina contro Putin no, quindi resistenza sì purché disarmata (quindi non armare l’Ucraina ma non disarmare Putin), e possibilmente dall’altra parte del televisore, un modo elegante per dire scegliamo il conflitto comodo, quello con morale semplificata e senza conseguenze sul portafoglio né sulla tournée né sulle anime belle.
Alla fine i VIP non si dividono più in due categorie, piuttosto in quattro: quelli che parlano e vengono presi a sassate digitali, quelli che tacciono e vengono presi a sassate digitali, quelli che dicono “basta la guerra” e vendono più biglietti, e quelli che scelgono un solo nemico perché il secondo complicherebbe l’etica del profilo, il tutto mentre l’algoritmo accompagna con cori angelici, pardon, con cori di follower che con un like si sentono la coscienza pulita.
Comunque sia il top resta sempre Vasco con “Gli spari sopra”, un capolavoro di vaghezza poetica: mai capito se gli spari sono sopra per noi, sopra per voi, sopra per nessuno, sopra e basta, e perché poi sopra e non sotto, sopra cosa? Forse è questa la vera chiave della comunicazione dei VIP: dire cose che suonano importanti, di cui non si capisce esattamente il senso, così ognuno ci legge quello che vuole. E intanto il concerto finisce, il pubblico applaude, e la guerra, sopra o sotto, può tranquillamente continuare da un’altra parte.