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I "diavoli" di Hamas e l'orrore senza fine: il 7 ottobre raccontato dai soccorritori

Gli operatori di Magen David Adom, l'equivalente israeliana della Croce Rossa, raccontano a ilGiornale.it lo scempio del 7 ottobre. "Scene terribili". Ma i cattivi maestri delle piazze antisioniste hanno già cancellato la strage

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"Davanti a me ho visto dei diavoli senza pietà. È stato un trauma, non potrò mai dimenticarlo". Ophir Shlomo Tor ha ancora negli occhi le immagini dell'inferno dal quale è miracolosamente scampato. Volontario di Magen David Adom (MDA), l'equivalente israeliana della Croce Rossa, il 7 ottobre scorso stava per prendere servizio a Sderot, nel distretto meridionale dello Stato ebraico, quando si è trovato sotto il fuoco di Hamas. "I terroristi mi sono venuti incontro e mi hanno sparato a diciassette metri di distanza. Erano in undici contro uno. Ho visto la morte in faccia", racconta a ilGiornale.it. Ex comandante dei paracadutisti, oggi paramedico, Ophir ha sperimentato tante situazioni limite nella propria vita. Ma mai - riferisce con gli occhi lucidi - ha assistito a una simile brutalità.

Riuscito a schivare i tre proiettili diretti contro di lui, il paramedico è accorso in aiuto di tutte le persone colpite che lo precedevano e seguivano in strada, riuscendo a salvare dalla morte una madre e suo figlio e due uomini. L’attacco è stato ripreso dalle telecamere di videosorveglianza di un supermercato vicino. "Dovete assolutamente vedere quelle immagini. Le mie parole non sono sufficienti a descrivere la scena terribile", ci dice. E il suo sguardo appare ancora incredulo, solcato da un turbamento profondo. Difficile, forse impossibile, da eradicare. Dopo essere sopravvissuto all'attacco degli islamisti di Hamas, Ophir ha trascorso le successive ore a soccorrere persone ferite a morte. "È la nostra missione", rimarca, ricordando le attività di soccorso e assistenza che MDA svolge dal 1918.

Oggi l'organizzazione ha oltre 32mila membri, per il 90% volontari, ed è totalmente indipendente da risorse governative. Il 7 ottobre gli operatori di MDA sono stati i primi a trovarsi faccia a faccia con l'orrore. Con lo scempio compiuto in nome di Allah e rivendicato dai terroristi come una una vittoria. "Migliaia di guerriglieri hanno circondato i kibbutz, hanno sparato, hanno ucciso, hanno stuprato. Noi siamo arrivati prima ancora dell'esercito e i bazooka imbracciati dai terroristi hanno sventrato anche alcune nostre ambulanze", ricorda Sami Sisa, che rappresenta Magen David Adom in Italia. In quella sanguinosa circostanza, i volontari dell'organizzazione si sono ritrovati a gestire una situazione del tutto inedita in quanto a efferatezza.

Lo testimonia anche Yoni Yagodovsky, direttore delle Relazioni Internazionali di Magen David Adom. "Abbiamo trovato persone riversate a terra e ferite gravemente, il nostro team ne ha aiutate centinaia. I terroristi hanno soffocato col fumo intere famiglie che si erano rifugiate nelle loro case. Si sono accaniti contro donne e bambini", riporta il soccorritore. Poi la sua voce si fa ancora più seria. "In questa mia missione sono stato abituato a un approccio umano, quello che abbiamo visto è stato invece totalmente disumano".

Eppure, la minaccia di Hamas continua. Purtroppo è ancora incombente. "Gli attacchi proseguono, questa guerra non l'ha iniziata Israele", ci dicono all'evento organizzato nelle scorse ore a Milano dalla comunità dalla Associazione Amici del Magen David Adom Italia alla presenza di una delegazione di paramedici di MDA. "Dopo il 7 ottobre ci aspettiamo sempre il peggio e speriamo nel meglio", sintetizza ancora Yoni Yagodovsky, spiegando come ora l'attività di MDA si sia concentrata ancora di più sulla prevenzione degli scenari più drammatici. "Stiamo addestrando i nostri volontari all'utilizzo di piccole auto accessoriate per il primo soccorso. Così, nel caso di un'emergenza, possono intervenire nelle loro comunità in attesa che arrivino le ambulanze vere e proprie. In questo periodo abbiamo anche assistito a una grande solidarietà: le donazioni di sangue sono aumentate vertiginosamente".

Lo stesso spirito di soccorso è quello che ha mosso Shunit Dekel, cresciuta e vissuta nel kibbutz Magen, comunità aggredita da Hamas il 7 ottobre. Discendente da sopravvissuti all’Olocausto, quando l’attacco del 7 ottobre è iniziato, si trovava in viaggio di ritorno dalla Polonia. Mentre era in aeroporto, ha ricevuto telefonate dai suoi figli che, nascosti nel rifugio, le hanno riferito di essere sotto attacco missilistico e di sentire il rumore dei colpi d’arma da fuoco dei terroristi entrati in casa. "Ho assistito all'assalto da lontano. Poi per alcune ore non ho più sentito i miei cari. Appena atterrata in Israele, mi sono precipitata a prestare assistenza: ho visto persone uccise, sgozzate, mutilate. Qualcosa di tremendo".

Israele ha pagato così il suo tributo di sangue, anche se oggi in molti sembrano essersene già dimenticati. Il 7 ottobre, per certi benpensanti e per i cattivi maestri che animano le piazze antisioniste, sembra diventato una parentesi. Un ricordo consegnato alle cronache e nulla più. La prepotenza di certi cortei nei quali la memoria della strage è vilipesa o cancellata stride con gli occhi lucidi di chi ha sperimentato il terrore di Hamas.

E ancora adesso si considera un sopravvissuto.

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