Quella sul nucleare non è soltanto una battaglia politica, ma un rifiuto ideologico alla conoscenza di una fonte di energia che ha molti più pro che contro, e che in questo momento storico, dove l'Europa è al giogo e alla dipendenza di altri Paesi, primi tra tutti la Russia, sarebbe una soluzione su cui parlare più approfonditamente. Dietro ogni parola detta contro questo tipo di energia, c'è qualcuno che guadagna su altre fonti. Una sorta di campagna contro, portata avanti con ogni mezzo possibile, iniziata negli anni '70, che ora sta avendo la massima diffusione, visto l'aumento esponenziale delle materie energetiche, con ricadute catastrofiche sull'economia di persone e aziende, ma non certo su quella delle multinazionali che le producono, e che al contrario non hanno mai guadagnato tanto come in questo periodo. Lo spettro Chernobyl e Fukushina, sono perfetti esempi di quanto dietro quelli che sono stati incidenti importanti ci sia una lunga letterattura fatta spesso di omissioni e mezze verità. Così come la centrale di Zaporizhzhia quasi un monito su cui si annidano la maggior parte dei pregiudizi sulla pericolositò del nucleare che fanno leva sulla gente. Delle tante fake news abbiamo parlato con il fisico Luca Romano, che da anni combatte battaglie contro le falsità sull’energia nucleare, portando prove concrete su quante bugie sono state dette e "create" per interessi ben diversi da quelli della cura dell'ambiente o della popolazione.
Quali sono le bugie più eclatanti che si raccontano sul nucleare?
“È un lungo elenco. Una delle più frequenti è sicuramente quella che lo vede come un'energia pericolosa. Poi ci sono una serie di 'bufale' legate ai rifiuti radioattivi, ai costi, alle tempistiche, al possibile uso militare, al rischio in caso di terrorismo o di guerra. Ci sono inoltre anche bufale che circolano rispetto alla sua pericolosità in una zona sismica o alla durata delle risorse di uranio. Insomma, ce ne sono proprio tante”.
Esiste invece un reale pericolo?
“Una centrale nucleare durante il suo funzionamento normale, non pone assolutamente nessun rischio radioattivo. Ovviamente ci sono stati nella storia alcuni incidenti, come successo per molte altre tecnologie. Quando si valuta la pericolosità del nucleare, andrebbe fatto in rapporto alle altre tecnologie, per rendersi conto di quanto siano più pericolosi i combustibili fossili. L'inquinamento uccide ogni anno molte più persone di quello che ha mai fatto il nucleare. L'unica circostanza in cui ha causato dei morti è stato l'incidente di Chernobyl del 1986. Proprio in seguito di quello, la tecnologia si è evoluta con standard di sicurezza altissimi, che oggi rendono la possibilità di incidenti talmente remota, da fare sì che il nucleare sia la fonte di energia più sicura sul mercato”.
Noi europei abbiamo al momento lo spettro della centrale di Zaporizhzhia, davvero è così pericolosa o viene usata un po’ come una forma di terrorismo psicologico?
“I reattori di quella centrale non sono dello stesso tipo di Chernobyl, che erano ad acqua e grafite, quindi contenevano una componente infiammabile. Inoltre Chernobyl non aveva il tetto di contenimento, che ha provocato la fuoriuscita di fumi radioattivi. A Zaporizhzhia invece la situazione è diversa: ci sono edifici di contenimento in cemento armato, e il reattore è moderato ad acqua. Questo non significa che qualcosa non possa succedere, anche se è estremamente improbabile, ma è difficile che possa portare a conseguenze catastrofiche come viene paventato. Deve essere una cosa deliberata, non può accadere un incidente nucleare per errore. Ma anche se arrivasse all’evento più grave per una centrale nucleare, ovvero la fusione del nocciolo, secondo gli esperti dell'American Nuclear Society, è improbabile che si avrebbero conseguenze oltre i 30 km dall'impianto”.
Di che studio si tratta?
“È una valutazione pubblicata su Nature dall’American Nuclear Society, uscita subito dopo i primi scontri vicini alla centrale, secondo cui anche in caso di fusione del nocciolo, la preoccupazione più grande sarebbe quella di evitare il panico delle persone e dei governi in Europa. Perché la realtà è che oltre i 30 km dall’impianto, sarebbe molto difficile rilevarne conseguenze”.
Lei sostiene che non c’è nessuna possibilità di combattere il riscaldamento globale, senza usare il nucleare. Può spiegare perché?
“Prima di tutto, come sappiamo, le energie rinnovabili si portano dietro ancora oggi il problema irrisolto dell'intermittenza, oltre al fatto che sono "material intensive"- a parità di energia, c’è bisogno di molte più materie prime, e questo è un dato da tenere in considerazione. Inoltre ci sono settori che oggi è molto difficile pensare di decarbonizzare senza il nucleare. Parlo ad esempio del trasporto navale pesante. Un conto è fare una batteria per un'automobile, ma una nave container con le batterie non si muoverà mai. Al contrario, i reattori nucleari navali esistono già da tempo in ambito militare, e potrebbero essere usati anche per le grandi navi civili che trasportano merci. Le centrali nucleari, garantiscono energia elettrica 24 ore consecutive in qualunque condizione climatica o geografica e possono fare il lavoro che le rinnovabili non possono fare da sole. In ultimo l'energia nucleare genera calore, cosa che le rinnovabili, a parte il geotermico, non fanno, per questo con i reattori giusti, quelli di quarta generazione, sarebbe possibile decarbonizzare anche i settori industriali che oggi è impossibile fare, come le acciaierie, i cementifici o le cartiere, che necessitano di molto calore”.
Non è possibile fare tutto questo con le rinnovabili? Magari provenienti da fonti diverse?
“Ad oggi no, non siamo all'orizzonte di una svolta tecnologica che cambi questa situazione. È possibile che prima o poi arrivi qualcosa che ci consentirà di farlo, ma servirebbe un miracolo tecnologico per quanto riguarda lo stoccaggio e l'accumulo energetico. Qualcosa in grado di accumulare l'energia prodotta in eccesso per poi usarla quando le rinnovabili non la producono. Dovrebbe essere una tecnologia mostruosamente efficiente, molto economica e facilmente scalabile, cosa che oggi non esiste. Se attualmente dovessimo mandare avanti l'Italia solo con le rinnovabili, solo per fare lo stoccaggio dell'energia dalla notte al giorno e dal giorno alla notte, ci servirebbe 10 volte la produzione mondiale attuale di litio. Poi ci sarebbe lo stoccaggio dall'estate all'inverno, che è ancora più problematico e rende il tutto davvero impraticabile. E noi abbiamo bisogno ora di energia”.
E vero che le compagnie petrolifere stanno promuovendo le rinnovabili contro il nucleare?
“È sempre stato così, ma oggi succede in maniera ancora più netta. La maggior parte delle compagnie petrolifere propone slogan a favore del solare o dell’eolico perché quando poi non c’è il sole o il vento, entra in gioco il gas, che loro definiscono "il partner perfetto delle rinnovabili". Lo fanno tutte le grandi multinazionali; investono grandi quantità di denaro in pubblicità per cambiare l’opinione delle persone. Fintanto che non esiste una tecnologia di stoccaggio, più un Paese investe in rinnovabili, più avrà bisogno di gas per complementarle. E questo le compagnie petrolifere lo sanno benissimo. Il nucleare è banalmente un loro concorrente, hanno tutto l'interesse a screditarlo”.
A livello economico e di conseguenza di energia, cosa cambierebbe per l’Italia se avesse una centrale nucleare?
“In Italia ne servirebbero 4 o 5, con tre o quattro reattori ognuna. Questo lascerebbe ancora molto spazio per le rinnovabili, che potrebbero crescere, col supporto dell’energia nucleare, liberandoci completamente dalla dipendenza dei combustibili fossili. Politicamente è sotto gli occhi di tutti cosa significa dipendere dal gas o dal carbone di altri paesi”.
Avere una centrale nucleare vicina, quali pericoli concreti comporta per l’ambiente e la popolazione?
“Ad oggi mi verrebbe da dire nessuno. L’incidente in una centrale nucleare, è veramente un’ipotesi che, come dire, nel settore fa quasi sorridere. La gente al contrario dovrebbe preoccuparsi se non ha una centrale nucleare vicino casa, perché è molto probabile che da qualche parte ne abbia una a gas o a carbone. Dove ci sono pannelli solari e turbine eoliche, da qualche parte c’è una centrale a gas che si accende quando il sole tramonta. E produrrà inquinamento, composti azotati, addirittura monossido di carbonio se il gas non brucia alla temperatura giusta. La gente dovrebbe preoccuparsi di questo”.
Da dove nasce allora tutta questa paura del nucleare?
“In primis perché c'è una cattiva informazione dovuta anche, come dicevo, ai grandi interessi economici dei produttori petroliferi. Chernobyl è stato sicuramente un evento che ha segnato la memoria collettiva, ma ora quella è una delle zone con la più alta biodiversità d’Europa. Non perché il nucleare favorisca la biodiversità, ma perché andando via l’uomo la natura ha ripreso il suo posto. Anche Fukushima, che è stato l'altro grande incidente nucleare, ha influenzato la percezione collettiva, ma quest’anno sono state nuovamente dichiarate abitabili le aree evacuate, zone che anche subito dopo l’incidente, avrebbero presentato un rischio inferiore a quello dell'inquinamento di Tokyo. C’è sempre questo doppio standard per cui un'area radioattiva viene considerata assolutamente inavvicinabile, mentre un'area inquinata va benissimo, anche se uccide molte più persone. Per non parlare di tutta la filmografia americana con le atomiche che riescono a spazzare via tutta l’umanità, cosa altamente improbabile visto che l'area di effetto di una bomba atomica è grande, ma è dell'ordine delle centinaia di metri, con il fall-out (la ricaduta radiottiva, ndr) di qualche chilometro”.
Esiste però anche il problema delle scorie radioattive
“Intanto va detto che se ne producono molte poche, e con queste si possono fare diverse cose. Oggi si tende a preferire metterle sotto terra, perché è l'opzione più economica, ci sono però altre opzioni come quelle di separare le varie componenti delle scorie, ad esempio il plutonio, che può essere riciclato e usato come nuovo combustibile nucleare. Altre componenti come l’uranio 238 oppure il plutonio 238, il nettunio 237 e altri elementi simili possono essere utilizzati nei reattori di quarta generazione. Altri ancora possono essere recuperati per uso medico, come ad esempio lo iodio 131, che si usa per curare l'ipotiroidismo. Altri radioisotopi, come il lutezio 177, che si usa nelle radioterapie, vengono prodotti direttamente nei reattori nucleari, succede ad esempio in Canada”.
Lei su tutto questo ha scritto anche un libro.
“Sì chiama ‘L’avvocato dell’atomo - in difesa dell’energia nucleare’ (Fazi Editore). Il libro è strutturato come fosse un processo. Io considero tutte le informazioni che vengono date sul nucleare, come fossero accuse da parte di un ipotetico pubblico ministero.
Dall'altra parte però, c'è la risposta dell'avvocato, visto che le accuse in TV le sentiamo sempre, ed invece è molto raro che ci sia qualcuno competente a favore del nucleare. Mi sono preso io l'incarico di farlo nel libro, con un’arringa difensiva dove ogni ‘accusa’ viene dissezionata e analizzata dimostrandone l'inconsistenza”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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