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"Rischiano la vita...". Ora le Ong difendono gli "scafisti"

"Criminalizzare gli scafisti non è la soluzione", sostengono le Ong, accusando le autorità di prendere di mira chi guida le carrette del mare. Poi l'attacco al governo

"Rischiano la vita...". Ora le Ong difendono gli "scafisti"

"Criminalizzare gli scafisti non è la soluzione". L'ultima battaglia delle Ong è quella in difesa degli uomini che guidano le carrette del mare stracolme di migranti. Prenderli di mira è sbagliato, spiegano. Qualcuno avrà strabuzzato gli occhi, a maggior ragione dopo la recente strage di Cutro. Il dramma avvenuto davanti alle coste calabresi ha infatti riacceso i riflettori sulle responsabilità di chi si spinge tra le onde più impetuose, esponendo decine di esseri umani al rischio più estremo: quello di perdere la vita. Secondo le organizzazioni umanitarie, tuttavia, bisognerebbe fare un distinguo, differenziando gli scafisti dai trafficanti di uomini. I primi - asseriscono le Ong - non corrispondono ai secondi.

"Non può essere un reato", la discutibile tesi delle Ong

La suddetta tesi è stata esposta nelle scorse ore da Mediterranea Saving Humans, che sui social ha rilanciato i contenuti di un report ("Dal mare al carcere") di Arci Porco Rosso e Alarmphone. Il documento in questione parte da un discutibile assunto: "Attraversare una frontiera oppure aiutare qualcuno a farlo non può essere considerato un reato". Ma tutti gli Stati posseggono leggi in materia e, codici alla mano, oltrepassare un confine senza i requisiti richiesti è da considerarsi un illecito. Dura lex, sed lex. Il nodo della questione - afferma ancora la no-profit Mediterranea - "è la criminalizzazione delle persone migranti e la militarizzazione delle frontiere, non il fatto che i singoli individui si spostino".

Il distinguo tra scafisti e trafficanti

Poi, ecco la difesa dei cosiddetti scafisti. "La figura dello 'scafista' viene presa di mira dalle procure (italiane e non), spesso con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina per aver guidato un'imbarcazione che trasporta persone migranti. Tuttavia, gli 'scafisti' sono quasi sempre a loro volta persone migranti, che rischiano la vita nell'attraversamento del mare e che si possono ritrovare alla guida per ragioni disparate", sostiene l'Ong sui propri canali social. E al riguardo vengono elencati alcuni casi in cui i migranti messi al comando delle imbarcazioni non fanno parte di organizzazioni criminali e vengono invece forzati a svolgere quel compito. Oppure vengono pagati ma non hanno a che fare con i trafficanti. In altre situazioni invece hanno interessi economici e intendono rientrare poi nel Paese di provenienza.

L'attività degli inquirenti e la rete criminale

Ora, visto che il fenomeno va analizzato nella sua complessità, andrebbe altresì raccontata anche l'altra faccia della medaglia. I controlli operati dalle autorità, infatti, raccontano di scafisti che operano con una disinvoltura non certo aderente a una certa narrazione "assolutoria". Nello specifico - come vi avevamo raccontato su queste pagine - gli scafisti finiti in manette per il naufragio di Cutro non solo sapevano far navigare il barcone fino all'Italia, ma avevano a disposizione un telefono satellitare e probabilmente un jammer per oscurare i collegamenti dei cellulari dei migranti a bordo. Pur non essendo i veri capi delle organizzazioni criminali, non erano comunque degli sprovveduti e facevano parte di una presunta rete da smantellare.

L'attacco al governo

E poi a chi parla di "criminalizzazione" andrebbe ricordato che in genere le autorità compiono arresti sulla base di elementi indiziari che giustifichino quell'azione. Secondo Mediterranea, la questione è politica: "Il governo continua volutamente a confondere 'scafisti' con 'trafficanti'...", ha accusato l'Ong, spiegando che "mentre il primo può trovarsi alla guida della barca per diversi motivi, il secondo è l'organizzatore del viaggio e non si imbarcherà mai rischiando la vita".

Ma tale argomentazione presenta più di un elemento contestabile. Le autorità, infatti, partono proprio dagli scafisti e dai loro contatti per ricostruire poi a ritroso il racket che essi hanno alle spalle. Funziona così ogni volta che ci trova davanti a organizzazioni criminali difficili da eradicare direttamente alla base.

Le Ong ritengono forse che si debba chiudere un occhio su chi guida i migranti tra le onde, spesso in condizioni di grande pericolo? Non può essere: il rischio di legittimare la filiera della morte è troppo alto.

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