Da «Audrey» di Versace a «Dolce» di Naomi: un secolo di moda canina

«La cosa migliore da fare per avere il mondo ai tuoi piedi è avere un cane ai tuoi tacchi». Datata 1930 e firmata Vogue, questa frase a suo tempo fece scalpore. L'America aveva appena vissuto il crollo di Wall Street e i cani erano considerati status symbol da esibire come i tacchi che in effetti non sono fatti per scarpinare dal mattino alla sera in cerca di lavoro. «Sono gli unici amici che i soldi possono comprare» dice lo stesso articolo riportato con molti altri documenti d'archivio nel patinatissimo volume Dog's in Vogue, a Century of Canine chic scritto da Judith Watt e recentemente pubblicato in Inghilterra da Little Brown. Corredato da 250 scatti d'autore con firme come Cecil Beaton, Lee Miller, Helmut Newton, David Bailey, Peter Lindberg, Patrick Demarchellier oppure Mario Testino, il libro ha quel certo non so che di ultra sofisticato per cui alla fine saremo in pochi a prenderlo sul serio tipo saggio.
Invece guardando la storia dal buco della serratura e raccontandola con eleganza in puro stile Vogue, la Watt ci fa capire tante cose sul mondo della moda e più in generale sulla società. Per esempio la progressiva riduzione della taglia dei cani prediletti dalla cosiddetta beautiful people non è tanto una questione estetica quanto di etica e praticità. Infatti nel 1917 la duchessa di Newcastle poteva far correre i suoi altissimi levrieri Borzoi nei mastodontici giardini della tenuta di famiglia, mentre nel 2007 Naomi Campbell ha scelto un piccolo yorkshire molto più facile da trasportare per una donna sempre in viaggio come lei. «Si chiama Dolce come Domenico, siamo inseparabili», dice la Venere Nera accarezzando il suo cespuglioso amico a quattro zampe con la gentilezza che raramente concede agli uomini e alle cameriere proprio mai. Un'altra top sorprendentemente cinofila è Nadja Auerman che nel libro compare con i suoi tre pechinesi dotati di un'allarmante cresta punk per momentanee esigenze di styling. Va detto infatti che per il popolo della moda lo chic canino corrisponde quasi sempre alla normalità anche se poi bisogna fare i conti con un concetto di normale a dir poco speciale. Lo spiega molto bene il docu-film The Last Emperor con la scena esilarante dei carlini di Valentino sottoposti a un'accurata pulizia dentale dal maggiordomo oppure quella francamente imbarazzante del «Maestro» che prova un paio di orecchini a Molly incurante dell'espressione umiliata della povera bestia. D'altro canto Valentino è fatto così, prendere o lasciare, una leggenda vivente con infinite bizzarrie anche nel rapporto con i suoi cani.
Si dice ad esempio che Oliver, amatissimo carlino vissuto negli anni Ottanta, avesse addirittura una controfigura più giovane e aitante da utilizzare in caso di uscite pubbliche o di ritratti ufficiali. Circola inoltre la voce di un lasciapassare concesso da Lady Diana in persona per evitare ai cani di Valentino la quarantena imposta fino ad alcuni anni fa a tutti gli animali in transito dalle frontiere inglesi. «Vieni pure, sono italiani come noi» ha detto una volta Stefano Pilati al boxer Ettore deciso a entrare nel salone dell'atelier Saint Laurent di Parigi dove proprio in quel momento il suo padrone stava parlando con la stampa italiana. Prima di lui nella storica maison d'Oltralpe hanno zampettato allegramente i quattro bulldog francesi che in tempi diversi hanno tenuto compagnia al grande Yves (li chiamava tutti Moujik, al secondo fece fare un ritratto da Andy Warhol) e il jack russel di Tom Ford. Per questo piccolo e pestifero cagnetto lo stilista texano fece confezionare dagli artigiani di Gucci una cuccia in visone rasato che successivamente venne messa in produzione insieme con altri lussuosi accessori per cani.
Inutile dire che la capitale dello shopping canino resta Parigi dove Cavalli ha aperto nella più bella delle sue boutique un corner per l'eleganza a quattro zampe che prevede per i cuccioli freddolosi montoni ricamati, cappottini doppiati in pelliccia e pullover di cashmere fatti a mano. Strepitosi i guinzagli tempestati da innumerevoli cristalli Swarovsky come le più rutilanti creazioni da sera dello stilista fiorentino. Basta pronunciare il suo nome per scatenare l'ira funesta di Audrey, intelligentissima cagnetta di Donatella Versace che sembra quasi addestrata ad abbaiare alla concorrenza anche se la sua padrona giura di no e noi le crediamo. Del resto lo sanno tutti che i cani finiscono per assomigliare ai padroni anche se Stephane Bern, firma della cronaca mondana francese, sostiene il contrario. Forse bisogna dargli retta visto che ha appena scritto il libro Une vie de chien, Les Animaux chérie des grands de ce Monde in cui rivela moltissimi segreti sugli animali prediletti dai grandi della terra. Per esempio il labrador di Sarkozy si chiama Clara solo da quando il suo padrone è entrato all'Eliseo, prima veniva chiamato Estrie. Invece il cane della Premiere Dame, Carla Bruni, ha mantenuto il suo vecchio nome - Doumbledore - e lo stesso è successo al chihuahua che suo figlio Aurelien chiama con il diminutivo di Tout Mignon: Toumi.
Pubblicato da Albin Michel, il libro è stato presentato un mese fa in concomitanza con il lancio di una nuova linea d'accessori per cani firmata dalla maison di pelletteria Lancel.

Quella sera sugli Champs Elysées si è svolto il cosiddetto «Gala de la truffe», primo party parigino riservato ai cani con tanto di red carpet, salone di bellezza, atelier dei giochi, dog bar e sedute di massaggi per animali stressati.

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