Tra autoinganno ed euforia

Arturo Diaconale

Peggio dello «spirito di Monaco» c’è solo lo «spirito del dopo Monaco». Il primo è quello della resa in nome della pace. Il secondo è quello dell’illusione che dopo aver sottoscritto la resa, la pace sia inevitabile e duratura.
Dello «spirito di Monaco» sappiamo ormai tutto. Dalla sua ispirazione di partenza simbolizzata dal «Perché morire per Danzica» del sindacalista francese Marcel Deat all’applicazione durante gli anni della guerra fredda con lo slogan «meglio rossi che morti». Lo «spirito del dopo Monaco», invece, è stato praticamente ignorato. Eppure noi italiani lo conosciamo bene. È quello che spinse il Paese a riversarsi nelle stazioni ferroviarie ad inneggiare al Duce, di ritorno dal vertice di Monaco, come unico salvatore della pace in Europa. Per aver ammansito Hitler e convinto all’intesa Daladier e Chamberlain. Mussolini era per un verso lusingato da tanto consenso popolare. Ma per l’altro irritato perché il suo «italiano nuovo», quello che avrebbe voluto guerriero e combattente, accendeva i ceri alla Madonna perché il Duce aveva scongiurato la guerra ed evitato di chiamarlo a far vedere le sue nuove qualità belliche.
Sappiamo i risultati dell’illusione del «dopo Monaco». E registriamo con preoccupazione che quel tragico spirito fatto di autoinganno ed euforia è tornato drammaticamente ad aleggiare nelle stanze del potere del nostro Paese in occasione della partenza dei soldati per la missione di pace in Libano. Il più alto ed autorevole portatore insano di questo sentimento è Massimo D’Alema. Esaltato dall’affermazione di Giuliano Ferrara secondo cui il responsabile della Farnesina è l’unico ad uscire vincitore dalla complessa trattativa internazionale che ha portato alla decisione dell’Onu sulla missione militare (i vecchi togliattiani tra loro non si mordono), Massimo D’Alema si è messo ad esultare. «Siamo ritornati al multilateralismo, l’Onu è protagonista, l’Europa al centro, l’Italia è tornata sulla scena». Non contento, ha addirittura minacciato la guerra alla Siria se Damasco continuerà a fornire armi agli hezbollah.
Ma l’analisi del ministro degli Esteri è totalmente sbagliata. Il multilateralismo è una pia finzione visto che tutto ciò che è avvenuto prima, durante e dopo la crisi libanese è dipeso dalla volontà degli Stati Uniti. È il governo americano che ha attivato le Nazioni Unite, ha spinto l’Europa a dare un minimo segno della propria presenza, ha frenato Israele ed ha spinto l’Italia a correre in Medio Oriente in cerca di gloria militare e meriti pacifisti.
L’Onu ha confermato di essere un organismo inutile ed obsoleto, incapace di prendere e far applicare decisioni autonome. L’Europa ha brillato per la sua totale assenza. Sempre che non si scambi per una linea di politica estera comune la decisione tardiva della Francia di mandare duemila uomini in Medio Oriente a ribadire, in una visione neo-coloniale, il proprio storico ruolo di potenza protettrice del Libano. E l’Italia più che protagonista è apparsa vittima dei propri complessi d’inferiorità. Quelli che in nome di un fantomatico prestigio perduto spingono da sempre i suoi governi a compiere passi più lunghi della gamba in politica estera.
Ma più dell’analisi sbagliata è l’euforia di D’Alema che preoccupa. Pare che con la partenza degli italiani per il Libano la pace sia stata ormai assicurata in Medio Oriente per un tempo infinito. Questa euforia aumenta l’illusione tipica dello «spirito del dopo Monaco». Ancora una volta gli italiani sono spinti ad accendere ceri alla Madonna per la sicurezza e la tranquillità conquistate dal leader (in questo caso Massimo). Purtroppo, invece, la realtà è totalmente diversa. Ed i rischi di disillusione gravissimi. Come allora.

E come allora il primo colpo di fucile rischia di spegnere i ceri, cancellare le illusioni e far crollare i leader.

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