Dalle fusioni all’elettrico: l'eredità di Sergio Marchionne a cinque anni dalla sua morte

Cinque anni fa il mondo dell'industria automobilistica perdeva uno dei suoi leader più influenti e carismatici. Oggi la sua eredità vive in parte nelle sorti del gruppo nato a pochi mesi dalla sua scomparsa.

Dalle fusioni all’elettrico: l'eredità di Sergio Marchionne a cinque anni dalla sua morte

Era il 25 luglio 2018 quando Sergio Marchionne si spense nella clinica Universitätsspital di Zurigo, lasciando ai suoi successori l’onere e l’onore di proseguire un percorso tracciato solamente poche settimane prima con la presentazione dell’ultimo piano industriale prima della propria dipartita programmata dall’azienda, prevista per il 2019. Oggi, a cinque anni dalla sua morte, è opportuno riflettere sull'impatto che le sue scelte (e le sue dichiarazioni) hanno avuto sulle sorti non solo del gruppo FCA ma anche dell’intera industria automobilistica.

“Un uomo di finanza e non di prodotto”

Una delle critiche più feroci mosse nei confronti del manager italo-canadese nel corso della sua carriera è stata quella di tutelare a ogni costo la salute finanziaria delle aziende che sono passate nelle sue mani, anche a costo di non avere nuovi modelli da lanciare sul mercato. Un modus operandi che si è dimostrato vincente quando si tratta di banche e fondi di investimento, ma che ha evidenziato alcuni limiti nel caso di un’industria che per sopravvivere deve contare (anche) sul prodotto. Nella ricerca della riduzione dei costi nell’ottica di un continuo incremento delle performance finanziarie del gruppo FCA, Sergio Marchionne ha portato avanti vere e proprie politiche di austerità industriale, rimandando il più possibile lo sviluppo di nuovi modelli e prendendo decisioni discutibili che in alcuni casi hanno portato al forte ridimensionamento di alcuni brand. È il caso di Chrysler, orfana di nuovi significativi modelli, e di Lancia, abbandonata fino a pochi mesi fa ad un lento declino che ha visto il marchio italiano relegato a tempo indeterminato al solo mercato italiano.

Sergio Marchionne Fiat Panda

Pochi, ma significativi, i modelli di auto che hanno ricevuto il disco verde dal manager col pullover, arrivato in Fiat nel 2004 con l’obiettivo di salvare un gruppo in grave difficoltà finanziaria. Marchionne ha dato la propria benedizione alla Fiat 500 del 2007, modello che vive ancora oggi di rendita con pochissime modifiche estetiche. Dopo di lei, si segnalano alcune Jeep (unico marchio dell’era FCA ad essere davvero cresciuto grazie agli investimenti di prodotto) e il duo Alfa Romeo Giulia e Stelvio, due modelli dalla tecnica eccellente (leggere le specifiche della Piattaforma Giorgio per credere) destinati a rimanere un unicum irripetibile. Una stretta di cinghia che da una parte ha scontentato gli appassionati che per anni si sono visti costretti a rivolgersi a brand della concorrenza, dall’altra ha fatto felici gli investitori. Sotto la guida di Marchionne, Fiat ha avuto la spinta propulsiva necessaria per spingersi al di là dell’atlantico e offrirsi come miglior offerente per salvare Chrysler, una delle Big Three dell’Automotive a stelle e strisce che avrebbe rischiato di soccombere in assenza di un piano di risanamento. Già alla metà dello scorso decennio il manager, da sempre convinto sostenitore delle alleanze nel settore automotive come unica soluzione per sopravvivere in vista dell’avanzata cinese, aveva in qualche modo previsto che nel corso degli anni le mutevoli condizioni del mercato avrebbero imposto anche a gruppi consolidati come FCA di unire le proprie forze per continuare ad essere competitivi. Un lustro dopo, la pandemia e la conseguente crisi dei chip, insieme all’incertezza geopolitica, confermarono che la visione a lungo termine di Marchionne, che proprio poche settimane prima della sua morte aveva posto le basi per permettere a FCA di cercare un alleato tra i colossi Renault e PSA, entrambi alla ricerca di un partner presente in modo capillare anche al di fuori dell’ormai sempre meno significativo mercato europeo. Alla fine, come sappiamo, fu proprio PSA ad avere le carte in regola per imbastire una fusione con il gruppo italoamericano, dando la vita a Stellantis.

L’apertura all’elettrico al momento giusto

Per lunga parte del suo operato come amministratore delegato di Fiat prima e di FCA poi, Marchionne non aveva mai nascosto il proprio scetticismo nei confronti delle auto elettriche e ibride. La prima Fiat 500 elettrica datata 2010, per esempio, venne prodotta dichiaratamente in perdita solo per soddisfare una delle condizioni sine qua non imposte dall’amministrazione Obama per accedere al controllo di Chrysler. Decisamente diverso fu il contesto che diede i natali alla Nuova Fiat 500 elettrica del 2020, arrivata sul mercato proprio quando in Europa si iniziava a ipotizzare lo stop alle vendite delle auto con motore termico. Con la 500e prima e con le Maserati Folgore poi (ricordiamo che la gamma elettrica del Tridente era prevista al debutto nel 2021, due anni abbondanti prima del suo effettivo arrivo su strada), Marchionne spalancò le porte del suo business all’elettrico, comprendendo l’importanza di adeguarsi alle nuove tecnologie e alle specifiche esigenze del mercato.

sergio marchionne 2018

Vendere meno, guadagnare di più

Con le sinergie derivanti dalla fusione tra FCA e PSA, il colosso Stellantis nato anche grazie alle ultime mosse strategiche di Sergio Marchionne (che non scelse un “erede” nonostante avesse già annunciato che il proprio addio all’azienda sarebbe avvenuto nel 2019, spianando inconsapevolmente la strada a Carlos Tavares di PSA) è ora in grado di abbattere i costi di ricerca, sviluppo e produzione, offrendo un maggior numero di nuovi modelli per i numerosi marchi della propria galassia. Brand mainstream come Fiat e Citroen possono ora guardare al futuro come Case automobilistiche pensate per motorizzare le masse mentre Jeep, insieme a RAM, rappresenta la gallina dalle uova d’oro nei business oltreoceano del gruppo grazie alle continue novità di prodotto nelle categorie più redditizie, ovvero quelle dei SUV e dei pickup. E se si parla di redditività non si possono non menzionare i marchi premium come Lancia e Alfa Romeo, che oggi godono di piani industriali solidi e finanziati a lungo termine per tornare ad essere rispettati in Europa (Lancia) e nel mondo (Alfa). Un discorso che vale ancora di più per Maserati, prosegue la propria espansione nel settore luxury assicurando un’elevata redditività. Infine, la scelta di puntare sul premium ha avvantaggiato non poco anche l’occupazione degli stabilimenti italiani, scelti per accogliere la produzione non solo dei nuovi modelli Maserati ma anche dei futuri veicoli di media e alta gamma a marchio Alfa Romeo, Lancia, DS e Opel, tutti prodotti nello stabilimento lucano di Melfi. Vendere meno auto ma con margini di profitto superiori: questo il mantra che ha spinto non solo Stellantis ma anche gran parte degli altri grandi costruttori automotive a porre un freno alla corsa al record di vendite a ogni costo.

sergio marchionne

L'approccio di Marchionne, incentrato sulla salute finanziaria delle aziende, ha ottenuto risultati tangibili, permettendo a gruppi come FCA di superare periodi di difficoltà e di raggiungere una solidità economica. Marchionne ha dimostrato lungimiranza nel riconoscere l'importanza delle alleanze nel settore automobilistico come base di partenza per aumentare la competitività delle aziende.

Oggi, l'eredità di Sergio Marchionne si concretizza in un gruppo automobilistico con una visione a lungo termine, capace di vendere meno ma guadagnare di più grazie a una

strategia di business ben studiata. Con nuovi modelli in arrivo per ogni segmento di mercato e la promettente espansione dei marchi premium, Stellantis si prospetta come un protagonista nell'industria automobilistica globale.

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