
Ci sono giornate che cambiano il senso della vita. Per Emiliano Malagoli, classe 1975, quel giorno si è presentato nel 2011, quando, a seguito di un incidente stradale, si è risvegliato senza una gamba. Per molti, il buio. Per lui, una seconda chance. “Abbiamo due scelte – racconta –: non accettare la disabilità o vederla come una chance per riprendere in mano la vita”.
Da quella visione è nata nel 2013 l’associazione Di.Di. – Diversamente Disabili, che ha restituito speranza a centinaia di ragazzi e ragazze amputati o paraplegici. Giovani che, in seguito a incidenti, spesso si svegliano in ospedale arrabbiati con il mondo e si chiudono in loro stessi, spaventati per un futuro che sembra negato. Malagoli a quei ragazzi ha deciso di tendergli la mano, mostrando che anche senza un arto, o costretti in sedia a rotelle, si può tornare a correre. Letteralmente.
Un impegno che negli anni ha visto la nascita di due campionati motociclistici, uno italiano e uno europeo, riconosciuti ufficialmente dalla Federazione Motociclistica Italiana,o quella europea e dal Comitato Paralimpico. I campionati si corron con moto da 600 e 1000 cc: sei gare in tre tappe – per l’europeo – e quattro gare in due tappe per l’italiano.
Accanto all’agonismo, l’associazione organizza corsi per il rilascio delle patenti “AS” – A speciale – con moto BMW multiadattate, attività di educazione stradale, che hanno già coinvolto oltre 10mila studenti delle medie e superiori, e giornate di mototerapia.
L’atmosfera di uno di questi eventi al circuito Tazio Nuvolari è un concentrato di emozioni. Diciotto ragazzi, seguiti da otto istruttori – sei dei quali disabili – iniziano la mattina tra le tende del paddock, divisi per tipologia di trauma. Si scaldano, si confrontano, si misurano con paure più grandi di loro. Ma non sono soli: quegli istruttori che hanno già vinto la sfida contro il destino sono il loro specchio, la prova che “se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anch’io”. Nel pomeriggio si scende in pista: all’inizio c’è incertezza, poi la determinazione prende il sopravvento. Qualcuno cade, tutti si rialzano. Verso il tramonto la compagnia si scioglie, si va a casa portando nuove emozioni e amicizie, e con la consapevolezza di poter correre nuovamente. Perché i limiti non sono barriere invalicabili, ma curve da affrontare con coraggio.

“Prendetevi il vostro tempo – aveva ricordato Emiliano ai ragazzi nel briefing – non ci sono scadenze, seguite il cuore”. Un insegnamento che vale per chiunque: davanti a quelle storie ci si accorge che i nostri problemi quotidiani spesso sono solo capricci. Vederli mentre si infilano la tuta, stringono il casco, salgono in sella con mani tremanti e occhi lucidi è una lezione che scuote dentro. La paura resta lì, accanto alla linea di partenza, ma viene presto sostituita dalla gioia di sentirsi di nuovo liberi.
Accanto a Di.Di. c’è BMW Italia, che dal 2019 sostiene il progetto. Oggi fornisce all’Associazione le moto – dalle F800 alle G310 fino alla nuova R1300R con cambio automatico – oltre a supportare la comunicazione delle iniziative. Ma soprattutto lo fa attraverso i suoi dipendenti, che scelgono di diventare volontari. In queste giornate non si distinguono manager, tecnici o impiegati: ci sono solo persone che offrono tempo e braccia per aiutare altri a rialzarsi. E che a loro volta tornano a casa più ricche, avendo imparato ad apprezzare la vita per ciò che offre.
L’impegno sociale di BMW si estende anche ad altri progetti: SciAbile, che da vent’anni porta ragazzi con disabilità fisiche e psichiche sulle piste da sci; I bambini delle Fate; Tortellante, nato con Massimo Bottura per affiancare giovani autistici guidati da “nonne” del territorio; fino alla Boccia Paralimpica, disciplina che grazie a BMW ha trovato spazio in Italia. E poi BMW in Tour, che ha visto le concessionarie adottare squadre di calcio composte da ragazzi autistici, dando vita a un campionato che cresce ogni anno.
Tutto questo ha un filo conduttore: dimostrare che le aziende non creano valore solo per gli azionisti, ma anche per la società, per l’ambiente e per il territorio. E che il volontariato non è un gesto accessorio, ma un’occasione per riscoprire se stessi. Al Tazio Nuvolari, osservando quei ragazzi aiutati da un familiare o da un volontario, non si vedono “disabili”: si vedono specchi di umanità in cui riflettersi. Con le loro paure e le loro fragilità ci ricordano le nostre, ma ci mostrano anche che ogni limite può essere superato. A fine giornata, dopo averli seguiti passo dopo passo, anche chi guarda da fuori ritrova quella determinazione e quella consapevolezza che credeva smarrite.
E allora il messaggio arriva chiaro: la disabilità non è un limite, è una seconda possibilità.