La Mini mito del colpo "all'italiana"

La Mini Cooper del "Colpo all'italiana" poteva essere una Fiat 500, Agnelli tentò il colpaccio ma gli inglesi inamovibili puntarono tutto su competizione e patriottismo

La Mini mito del colpo "all'italiana"

All'apice della popolarità mondiale della Mini Cooper, una pellicola poliziesca britannica, forse tre le più esaltanti della vecchia scuola, consolidò l’immagine sfacciata e giovane della bubble-car più desiderata del mondo. Consacrando, allo stesso tempo e per mezzo di quel portento a quattro ruote molto British, il successo di quello che ricordiamo come “The Italian Job - un colpo all’italiana”.

Essi signori, perché per quanto il fascinoso Micheal Kane possa essere stato nell'interpretare il playboy elegante e spiritoso, le vere protagoniste del “colpo italiano” sono state e rimarranno le Austin Mini Cooper S Mk1 uscite dalla mente geniale di Sir Alec Costanine Issigonis. Sebbene nella derivazione elaborata dal leggendario John Cooper. Una rossa, una bianca e una blu, come i colori dell’Union Jack che sventola in ogni angolo del regno. Targate HMP 729G, GPF 146G e LGW 809G, rispettivamente citazione di "Her Majesty's Prison”, ultimo indirizzo conosciuto del protagonista Charlie Croker, il riferimento alla Gran Premio menzionata in una delle divertenti battute, e il codice del volo su cui si sarebbe dovuta imbarcare l’eterogenea banda ingaggiata per il colpo italiano se qualcosa fosse andato storto.

Ma facciamo un passo indietro, prodotta dalla British Motor Corporation nata dalla fusione della Austin Motor Company e del Gruppo Nuffield cui apparteneva il marchio Morris, la Mini Mk1 presentata nel 1959 era il risultato di una specifica civile con aspettative al pari del militare. Commissionato direttamente dal governo, il progetto portò alla luce un’automobile piccola, economica, con un’agilità e una manovrabilità “da competizione”.

Rivoluzionaria, metropolitana, affidabile, al primo lancio sul mercato non riscosse il successo che meritava, e servì la spinta di alcune celebrità visionarie come il cantante dei Beatles Paul McCartney e la super modella Twiggy Lawson per renderla l’oggetto del desiderio dei modaioli di Londra prima, e del mondo intero poi. Parte del merito di questo successo su ruote, va detto, appartiene di diritto al pilota da corsa John Cooper, che sviluppò una versione elaborata della Mini nel 1961 - che avrebbe preso il nome - e che oltre a migliorare le prestazione della mini-auto progettata da Sir Alec la portò a trionfare nel Rally di Monte Carlo, aggiudicandosi il podio nel 1964, nel ’65 e nel ’67.

Appena due anni dopo, nel ’69, il successo planetario verrà definitivamente sancito dal successodel film diretto da Peter Collinson, prodotto dalla Paramount e girato in Italia con interessanti retroscena. Perché nella trama - inaspettata per quegli anni - saranno tirati in ballo boss del crimine londinese che nutrono un incorruttibile patriottismo per la Corona inglese, un’istruita quanto idealizzata Mafia italiana che sembra quasi essersi già “inserita” nel tessuto sociale dell’altissima borghesia, e rapporti industriali ed economici con la Cina che potrebbero spostare gli equilibri e gli introiti di gelose potenze europee. Per questo dopo una stravagante rapina descritta come "il colpo più brillante del XX° secolo", le tre Mini Cooper dovranno sfrecciare per la bella Torino, dipinta come una moderna città d’avanguardia. Tanto da vantare un centro di controllo computerizzato del traffico. Cosa per altro vera all’epoca. Nella pellicola le tre Mini Cooper corrono anche sulla pista per collaudo che era sul tetto del Lingotto, dando alla FIAT il ruolo di grande potenza industriale del mondo.

L'avvocato Gianni Agnelli

Non è un segreto come al tempo, il neo-presidente Gianni Agnelli avesse proposto un cambio di auto, per rendere protagonista del film l’altrettanto piccola e amata 500. Il regista di Albione non ne volle sapere, ma accettò di buon grado la partecipazione del gigante automobilistico italiano per la fornitura di auto di contorno, per gli spazi in cui girare, e sembra addirittura per “provocare il vero traffico” su cui si basano gran parte delle sequenze. Si dice infatti che gli automobilisti adirati e imbottigliati per le strade di Torino non erano semplici comparse, ma cittadini sottoposti ai rallentamenti di un ingorgo spettacolare. Per girare il film la Paramount dovette acquistare una flotta di ben trentuno Mini, nella versione normale e Cooper, da modificare a livello di meccanica ed estetica, essendo le acrobazie tutte reali. Di queste, pare siano uscite indenni dalle riprese solo sei. Ma se ne sono perse le tracce da allora.

Il film fu un successo al botteghino, tanto che nel 1992 la Rover che aveva la concessione del marchio Mini, produsse una versione commemorativa in serie limitata ”The Italian Job”. I pochissimi esemplari, 1750 in tutto, commercializzati solo per il mercato inglese e italiano, furono proposti ovviamente in rosso "Flame Red", bianco "White Diamond", e il rarissimo blu "Electric Blue”. Al quale si aggiunse, forse in onor di vendita un classicissimo verde "British Racing Green”. Un gesto patriottico, come nella migliore tradizione inglese. Del resto alla domanda su quale fosse il motivo per cui non concedere la scena alla piccola 500 della Fiat, con tutti i vantaggi economici che la produzione poteva trarne, il regista rispose che “..

il film era uno scontro tra noi e loro, dovevamo dimostrare che noi inglesi eravamo intelligenti e loro italiani gli sciocchi”. Concediamogli questa piccola vittoria dopo la Seconda guerra mondiale. E scusiamoci ancora una volta per non avergli lasciato portare “a casa” la coppa da Euro 2020. Quella la teniamo noi.

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