Bagnasco ai gufi: «Basta alimentare sfiducia»

Non dobbiamo «cedere alla sfiducia», perché la sfiducia «può avvelenare» il Paese: chi «fomenta» questo clima, «aggrava la situazione» e «manca di responsabilità». Sono le parole che ha detto venerdì sera il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcipale, celebrando il Te Deum di rigraziamento nella chiesa dei gesuiti di Genova. L’arcivescovo parlava innanzitutto alla sua città, ma con riferimenti più generali riguardanti l’Italia.
Nonostante sia stato un anno «difficile per la gestione dell’economia nazionale, locale, familiare e individuale», il cardinale invita «a non perdere di vista, quando il cielo è cupo e burrascoso, gli squarci di luce che, anche se non cambiano radicalmente l’orizzonte, consentono però di non perdere la bussola e di tenere ferma la speranza». E per un cristiano la speranza è il Dio che si fa Bambino, nel mistero del Natale.
Bagnasco si è domandato che cosa fare di fronte alla situazione attuale: «La prima cosa che dobbiamo fare tutti – ha risposto – è non cedere alla sfiducia: questa fa morire dentro, non risolve nulla, paralizza le forze, genera prostrazione, a volte porta a gesti disperati. Ricordiamo che la tentazione della sfiducia prende facilmente il singolo, ma può avvelenare la società intera, una città, un Paese. E questo diventa ancor più deleterio e pericoloso». «Chi ad arte fomenta tale clima – ha aggiunto – non contribuisce a risolvere nulla e aggrava la situazione, manca di responsabilità. Non si tratta di sottovalutare o nascondere i problemi, ma di rappresentarli nelle misure reali senza tacere le luci, piccole o grandi che siano. A volte sembra serpeggiare una voluttà di male: essa sparge ombre, incertezze e freni con mano invisibile, dicendo o tacendo, insinuando, ritirandosi o opponendosi, creando rapporti che sembrano virtuosi ma che in realtà sono interessati e di corto respiro». «Bisogna – ha aggiunto – stringersi di più gli uni agli altri lasciando da parte gelosie, invidie, protagonismi, ambizioni irragionevoli, forse torti e risentimenti». Altrimenti, «la litigiosità avrà la meglio e la cultura dei “no” o dei “rimandi” segnerà la sorte».
Dopo aver richiamato alla necessità, di fronte al cambiamento strutturale che sta avvenendo con la crisi economico-finanziaria, di «rivedere stili di vita». È proprio vero, si è chiesto Bagnasco, «che bisogna consumare di più per produrre di più? Non si incentiva così anche una mentalità sprecona? Una visione materialistica della vita?». Fondamentale, per il presidente della Cei, è la questione morale, perché «nessuna vita civile, nessuno sviluppo potrà essere vero e raggiungere lo scopo – creare giustizia in ogni campo sociale – se non è ispirato a una visione etica e a comportamenti morali sia dei singoli che dei corpi intermedi e di tutte le istituzioni». Senza «cultura morale non ci sarà mai riforma o novità o legge che potrà tenere in modo costruttivo; non si potrà mai affrontare nessuna crisi o difficoltà».
Le leggi, ad esempio, ha spiegato Bagnasco, «devono esserci e ed essere il più giuste possibile, ma non bastano: bisogna considerare un onore osservarle tutti». Ma è pure «necessario che il modo di applicarle non sia pesante ed estenuante per i tempi, come sembra accadere a volte per la burocrazia che presiede l’impianto di nuove attività lavorative, o per lo sviluppo di ciò che già esiste».
È dunque un invito alla fiducia, alla responsabilità, anzi alla corresponsabilità di fronte ai problemi del Paese quello che arriva dal presidente dei vescovi. Nonché un chiaro giudizio negativo su chi dipinge a tinte fosche ogni aspetto della vita italiana. Bagnasco, all’indomani del voto di fiducia al governo Berlusconi, aveva osservato come dal risultato emergesse «un desiderio di governabilità in modo chiaro e democratico», ripetutamente espresso dagli italiani, che «deve essere da tutti rispettato e da tutti perseguito».

Com’è noto i vertici della Cei auspicano che l’Udc possano sostenere responsabilmente il governo nei prossimi mesi, e su questa linea si muove anche una parte significativa dell’associazionismo cattolico legato al mondo del lavoro.

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