Adesso, se i membri dellAccademia Reale delle Scienze disponessero di una seppur modica quantità damor proprio e volessero restituire al Premio Nobel quel poco di rispetto che tutto sommato si merita, dovrebbero convocare a Stoccolma Al Gore e Rajendra K. Pachauri, il presidente dellIpcc, Intergovernmental Panel on Climate Change. E lì, nella sala del concerto dellAccademia Reale di Musica dove nellottobre del 2007 il Bibì e il Bibò del «global warming» ricevettero dalle mani di Re Gustavo il Nobel per la Pace - per la Pace! -, degradarli come si fa con gli ufficiali felloni o traditori. Con obbligo di restituire medaglia doro, diploma e, soldi sullunghia, quel milione e centomila euri che ricevettero di prebenda.
Labbiamo scampata bella. Se non interveniva la Natura con le sue gelate, le sue piogge e le sue nevicate, se non ci si fosse messa di buzzo buono per riempire fino allorlo fiumi, laghi e bacini, per rimpinzare - in un fiat, fra laltro - con trilioni e trilioni di tonnellate di ghiaccio le calotte polari di sopra e di sotto oltre che ghiacciai di tutto il mondo, ivi compreso il dato per morto e sepolto Perito Moreno, se non avesse, insomma, voluto dimostrare che lei fa quel che più le pare e piace strabuggerandosene delle proiezioni matematiche dellIpcc e delle quattro puzzette emesse da noi umani, Al Gore e Rajendra K. Pachauri sarebbero ancor qui a dettar legge. Lasciamo stare noi, che da anni battiamo e ribattiamo per denunciare la grande bufala del riscaldamento globale di origine antropica. Contiamo niente, noi. Ma i 650 scienziati - non cialtroneschi dilettanti, non improvvisati cultori della materia: scienziati, fisici, geologi, meteorologi - ai quali, grazie al provvido intervento della Natura del quale abbiamo parlato si presta finalmente orecchio, non è che abbiano smantellato il dogma del «global warming» solo ieri. È da sempre che lo picconano, è da sempre che lo smascherano rivelandolo per quello che è: una balla planetaria. Ma la stampa internazionale (con rare eccezioni), le tivvù, i blogger, i Michel Moore, le stitiche star di Hollywood, i rincoglioniti da Facebook o altri «social network» per finire ai pecorariscanio, alla minutaglia ambientalista nostrana, tutti a irriderla, la scienza. Tutti a crogiolarsi nel catastrofismo.
Mi ripeto, lo so e so anche che infierire sul vinto non è bello, ma tantè: qualche tempo fa Lespresso sparò una mezza dozzina di pagine - con le solite fotografie delle zolle seccate dal sole, dello stento ciuffetto derba ingiallita - per annunciare al suo popolo di beoni che a far data 2022 la Puglia si sarebbe ritrovata totalmente desertificata. Niente più olivi e vigne. Solo sabbia e pietraie, pietraie e sabbia. E Repubblica? Avrà sfornato mille, duemila paginoni sul tema «Il pianeta ha un piede nella fossa». Attaccandosi a tutto, prendendo a pretesto i fatti più insignificanti o stravaganti. Come quella volta che lanciò lallarme - e gli ci volle ovviamente unintera paginata - per la diminuzione del numero delle farfalle in non ricordo più quale plaga del Sudamerica. Non si sa bene chi mai le avesse contate - prima e dopo - le farfalle, comunque sia, con matematica certezza i repubblicones attribuirono il calo della presenza dei lepidotteri alleffetto serra originato dalla dissennata attività umana. E gli orsi annegati per via dello scioglimento dei ghiacci polari? E il pesce flauto - uno, uno di numero - pescato nel Mediterraneo lui, lui il pesce, che bazzica abitualmente acque subtropicali? Ecco! Strillarono i repubblicones, il riscaldamento globale costringe i poveri pesciolini a risalire il canale di Suez e ciò dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che tra due o tre anni il Mar Rosso entrerà in ebollizione.
E cosa dire della mattana che colpì la società che si dice civile? Cosa dire di Fulco Pratesi che andava predicando di tirare lo sciacquone solo una volta ogni due giorni, di farsi il bagno solo una volta al mese e di cambiarsi la biancheria solo al mutare delle stagioni? Il tutto per risparmiare anche solo dieci litri di quellacqua che il riscaldamento globale stava velocissimamente evaporando? Cosa dire dellossessione per la «carbon print», per l«impronta ecologica» che falangi di bischeri tenevano aggiornata, attenti a non sforare i parametri? Tram in luogo di taxi uguale tre punti guadagnati, quattro se al posto del tram sè inforcata la bicicletta. Dieci piani a piedi in luogo dellascensore punti due, virgola uno. Panino con la Bologna in luogo di spaghetti pomodoro e basilico uguale (per via del risparmio dacqua e di gas) cinque punti tondi tondi. Punti preziosi, estremo omaggio al pianeta in agonia, già alla canna del gas.
Che poi, se le conseguenze del canone catastrofista si fossero limitate al folklore del radicalume chic ambientalista o alle menate di Repubblica, amen. Potevamo anche farcene una ragione. Il guaio è che aveva finito per indurre eminenti statisti, tirati per i capelli dagli Al Gore, a sottoscrivere e giurare di rispettare i precetti di quellincommensurabile bidone chiamato Protocollo di Kyoto. Bidone che allItalia, cioè a noi contribuenti, sarebbe costato la bellezza di 180 miliardi (e qui è doveroso dirlo: puntando i piedi, mettendosi «fuori dallEuropa», rifiutandosi di sottostare ai diktat degli ayatollah ambientalisti, Silvio Berlusconi vide più lontano di tutti i Sarkozy e le Merkel e gli Zapatero messi insieme. Chapeau).
Ma sì, ci è andata bene. Seppure in zona Cesarini, labbiamo scampata. Vecchia cara Natura, sempre pronta a metterci una buona parola e a sputtanare, scusate il termine, i cialtroni. Non ci resta, ora, che rimboccarci le maniche e con tanta pazienza chiarire alle nuove generazioni, cresciute ahiloro a forza di balle sul clima condizionato dalle lacche per i capelli o dal forno a legna duna pizzeria, che la neve, la pioggia, il sole, il caldo o il freddo sono fenomeni naturali. Anche i capricci del tempo - e il tempo può essere molto capriccioso - sono fenomeni naturali. E non invece, come hanno fatto loro credere bombardandoli di fregnacce ecologiste, reazioni più o meno inconsulte di una sussiegosa Terra Madre indispettita per scarsa sensibilità ambientalista delluomo cattivo.
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