Dalle finestre delle classi si vede San Siro, è bastato per fargli fare un sorrisone: «Ma qui dov’è, che curva è quella, la Nord o la Sud?». Quando manca la prospettiva il ragazzo non si scoraggia, vuole capire.
Supermario Balotelli ieri pomeriggio aveva voglia di gente, di farsi due chiacchiere senza domande e ha scelto l’Istituto Don Gnocchi di via Gozzadini, corsi di formazione professionale per 65 ragazzi affetti da disabilità motoria, cognitiva e relazionale, ragazzi dai 14 ai 21 anni, autistici e svegli: «Cosa provo? Provo imbarazzo. Sto bene ma provo sempre grande imbarazzo quando decido di venire a far visita a questi ragazzi. Per via della loro diversità? Mannò, proprio io che provo imbarazzo per la diversità sarebbe il colmo».
Si è presentato in jeans e maglietta, loro l’hanno accolto con una torta, lui fa: «Per favore niente domande». Impossibile. Uno gli fa: scusa, ma tu quanti anni hai? Un altro gli chiede: ma quanti gol hai fatto? Quattro? Ma quattro sono un po’ pochi, dài.
Rideva e firmava autografi, interisti, milanisti e juventini ammassati e trionfanti con il pennarello puntato. Era proprio una bella festa e tutto stava filando liscio fino alla domanda più ingenua che si può fare a un calciatore: scusa, ma tu a che squadra tieni?
«Io tengo al Milan - gli risponde Mario -. Perché non lo sapevi?».
Boato, e la netta sensazione che ci fossero più milanisti di quanti uno potesse immaginarsi. Uno scossone che ha stravolto la scaletta più della visita nell’ufficio di suor Cecilia e l’ispezione ai bagni. Supermario si è guardato attorno e ha ricominciato a ridere, uno si è alzato e gli ha stretto la faccia fra le sue mani, era entusiasta: sei milanista, sei milanista!
Allora c’è stato anche un momento di riflessione, perché uno dei ragazzi che stavano in quella piccola aula del Don Gnocchi e fino a quel momento non aveva ancora aperto bocca, si è fatto coraggio, è arrivato fino a un metro da Mario e serio gli ha detto: «Io lo so perché gli altri ti picchiano», e ha atteso che Mario gli rispondesse. Mario si è guardato attorno e tutti si sono fatti zitti. «Gli altri ti picchiano perché sanno che tu sei milanista», gli ha rivelato quell’amico.
Che c’era rimasto male, ma male male.
Era come se nel paese fosse saltato fuori il nome del vincitore del Superenalotto: Balotelli è milanista, Balotelli è milanista.
Un altro fa: «Ma se sei milanista, perché giochi con l’Inter?».
E Mario: «Per quest’anno gioco nell’Inter».
Saranno anche afflitti da un dio minore, ma anche gli interisti più radicali presenti ieri al Don Gnocchi non hanno vacillato, nessun segno di cedimento apparente.
A quel punto si sono avvicinate anche bidelle e inservienti, tutti lo volevano toccare e volevano dire che c’erano quel pomeriggio che Mario ha detto di essere un milanista.
Supermario a quel punto era proprio uno di loro senza cerimonie e inchini. Non ce n’era uno distratto, potenza del football, una delle insegnanti viene e molto seria confida: «Avevamo le classi semivuote, le presenze decimate dall’influenza, più del 50 per cento dei ragazzi a casa. Ma oggi si sono presentati tutti». E suor Cecilia che scattava foto come a bordo campo da varie posizioni. Una ragazza s’era fatta autografare la maglia dell’Inter: «Ma non è per me, è per mio fratello. È lui che è interista», era sulla porta, lo ripeteva a tutti quelli che entravano o uscivano, una botta.
In effetti la prova più dura è stata la visita al resto dell’edificio, due piani che un infermiere ha trasformato in una rivisitazione del grattacielo Pirelli, cambi estenuanti di ascensori, traversate oceaniche di corridoi incerati, soste religiose davanti ai disegni dei ragazzi appesi alle pareti, l’infermiere davanti sottobraccio a Balotelli e tutto il corteo dietro in fila indiana. «Adesso però mi piaci di più con quel taglio di capelli», gli confida l’infermiere che si era incaricato del giro panoramico del Don Gnocchi, e Mario: «Sì, è un taglio normale, sento bisogno di normalità, e poi basta far soffrire mia mamma».
Adesso bisognerebbe chiedere a Mario quanto gli costa questa normalità, se sa perché gli altri lo picchiano e perché a quel ragazzo ha risposto che quest’anno gioca ancora nell’Inter, lasciando intendere chissà cosa. Ma ieri Balotelli rispondeva con gli occhi solo a domande che venivano dal cuore: «Ragazzi come me. Uguali a me».
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