Balzello e polemiche L’inchiesta del Touring

Nel 1910 fu introdotta a favore delle località termali, nel 1938 fu estesa a tutti i comuni italiani a vocazione turistica. E nel 1989 fu abolita. Ora, da oltre un anno, la tassa di soggiorno è tornata. E il Touring club le ha dedicato un ampio servizio pubblicato nel numero di maggio della sua storica rivista riservata ai soci, Touring. Che cosa emerge dall’inchiesta?
Innanzitutto che la nuova-vecchia imposta datata marzo 2011 può ammontare a cinque euro per ogni non residente che pernotta in un comune italiano. E che, come già era avvenuto prima della sua cancellazione, è una specie di giungla. «Così com’era era largamente evasa e agli occhi di tutti serviva a mantenere in piedi enti turistici locali senza qualità», spiega a Touring Stefano Landi, ex responsabile Turismo della Presidenza del consiglio. Oggi sa di gabella medievale. La legge prevede che ogni Comune abbia, oltre alla facoltà di istituirla, anche libera scelta nel definire l’ammontare e la durata di pagamento. Così capita che in alcune località si paghino poche decine di centesimi e per non più di cinque notti consecutive, in altre fino a cinque euro e per dieci notti, ma non negli ostelli; in altre si paga solo durante la stagione estiva, ma in tutte le strutture. Un vero guazzabuglio. Reso ancora più intricato dal fatto che solo poche regioni hanno deciso quali sono le località turistiche. L’unica fortuna è che secondo l’Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) solo pochi municipi l’hanno introdotta. Ma in questi mesi sono in tanti a discuterne, anche perché è nell’aria (doveva essere introdotta con il decreto sulle semplificazioni fiscali a marzo) l’estensione della normativa a tutti i Comuni.
Ma la giungla normativa non è un problema solo per le amministrazioni, che se in quelle situazioni decidono in autonomia sono sempre a rischio ricorso. È un problema per tutti i soggiornanti, spesso vittime di autentiche truffe, rese possibili proprio dalla legislazione vaga e lacunosa. Sempre dalla rivista del Touring Club, in un paese calabrese hanno fatto pagare la tassa anche un bambino di dieci mesi; a Roma alcuni residenti (per definizione esenti) si sono visti addebitare la tassa. A Venezia c’è chi ha riscosso i soldi dai turisti, ma non li ha mai versati al Comune.
L’inchiesta di Touring, però, si concentra giustamente anche su un altro aspetto della questione. A che cosa dovrebbero servire i soldi incassati grazie alla nuova-vecchia imposta? A fare cassa o a sostenere il turismo? La legge è ambigua: parla di finanziare interventi a favore del turismo, ma anche dei servizi pubblici locali. «Nessuna obiezione sulla tassa di soggiorno, purché sia una tassa di scopo e non serva a coprire altri deficit», sostiene Franco Iseppi, presidente del Tci. «Penso sia utile se i ricavi vengono destinati alla promozione del turismo», aveva spiegato nei giorni scorsi il ministro del Turismo Piero Gnudi. Quel che è certo è che le località turistiche sostengono di averne bisogno, come testimonia il caso di Venezia. Gli 8 milioni di euro incassati nei primi quattro mesi sono serviti, come dice il vicesindaco Sandro Simionato, «a pagare gli straordinari a vigili in occasione del Carnevale e la festa del Redentore, a contribuire agli eventi, a ripulire gli arenili, a finanziare la Fenice». Gli albergatori, però, si lamentano per l’aggravio dei costi per il cliente. Anche per questo, probabilmente, pochi Comuni l’hanno introdotta.

Il dato appare l’unica nota positiva. Conclude l’inchiesta del Touring: se vogliono usare i soldi della tassa di soggiorno per ampliare aeroporti, come il «Gino Lisa» di Foggia, dove in un mese transitano meno di 300 passeggeri, meglio lasciar perdere.

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