
Era un passaggio ampiamente previsto, ma dopo 18 anni alla guida di Mediobanca le dimissioni del ceo Alberto Nagel fanno comunque un certo effetto. Il numero uno di Piazzetta Cuccia, sconfitto dopo la battaglia con Mps, ha comunicato la sua decisione a consiglio d'amministrazione ancora in corso. Insieme a lui, si sono dimessi con effetto dal 28 ottobre (giorno dell'assemblea) anche tutti gli altri consiglieri, ad eccezione di Sandro Panizza (lista Milleri). Il board ha stabilito, «in virtù del mutato assetto azionario», di interrompere il programma di buyback annunciato lo scorso 31 luglio. Nagel, già di prima mattina aveva inviato una lunga lettera di congedo ai dipendenti dell'istituto, dove li ringrazia e ripercorre successi veri o presunti della sua gestione (lui dice 22 anni, contando anche il periodo da direttore generale). «La prima parte, dal 2004 al 2015, è stata incentrata sulla definizione di una nuova visione di banca». Il ceo dimissionario quindi ricorda la vendita di partecipazioni di minoranza per 3 miliardi, i cui proventi sono stati reinvestiti nell'internazionalizzazione del gruppo «con l'apertura delle sedi operative di Parigi, Madrid, Londra, Francoforte e New York». In questa fase Compass acquisisce Linea nel credito al consumo. Nel 2008, «fallisce Lehman e una buona parte delle banche americane ed europee sono interessate da pesanti ricapitalizzazioni», invece Mediobanca «rimane immune da questa forte instabilità di mercato». Tant'è che pochi mesi prima del fallimento di Lehman, nasce una nuova banca digitale (CheBanca!)», oggi Mediobanca Premier. Un istituto pulito da pericolosi derivati che lo stesso Nagel ha potuto ereditare da Vincenzo Maranghi, che aveva preso in mano la creatura di Enrico Cuccia dopo la morte del fondatore.
«La seconda parte, dal 2015 ad oggi, vede la nascita e la forte crescita dell'attività di Wealth Management ed un'espansione, sia organica che con acquisizioni, di Corporate & Investment Banking e di Consumer Banking», prosegue Nagel, che fa riferimento all'acquisto del rimanente 50% di Banca Esperia e delle attività italiane di Barclays, il recruiting di consulenti finanziari e il raggiungimento di 100 miliardi di asset gestiti. Nel credito al consumo, sono arrivati di recente gli investimenti sul digitale e il buy now pay later. Nagel rivendica di aver triplicato i dipendenti, portandoli a 6.200 e di aver «distribuito 8,5 miliardi di dividendi». Strategia che gli ha di certo garantito la conservazione del potere, a scapito di una strategia che secondo alcuni soci e osservatori avrebbe potuto essere più ambiziosa.
Nagel poi lancia il suo messaggio d'amore al mercato, rimpiangendo il 2019 quando con la riduzione del patto di sindacato l'azienda si era «trasformata in una public company». Dal 2020 a oggi si è assistito a un ritorno dell'azionariato stabile «a discapito del mercato». Il banchiere chiude il suo testamento ideale citando il principio di «darwinismo bancario», con le banche che devono adattarsi a un «contesto che cambia rapidamente» e specializzarsi «in attività a maggior sofisticazione e valore aggiunto». Il terzo principio parla di lui: «Le banche quotate hanno molte più chance di crescere e di generare extra-ritorni, tanto più forte è l'allineamento di interessi tra azionisti e banca». Nella sua Mediobanca è avvenuto il contrario, con lo scontro con i soci di peso e il favore a quelli che avevano un interesse per la conservazione.
Infine, un'evidente stoccata ai «selvaggi», i barbari che lo hanno detronizzato, vale a dire Mps e soci (che ieri sono saliti al 64,68% del capitale). «E ricordatevi», chiude il banchiere rivolgendosi ai dipendenti che rimarranno, «di quanto scrisse Orazio: Graecia capta ferum victorem cepit». Tradotto: la Grecia conquistata, conquistò il selvaggio vincitore.