La morsa di Basilea 3 costerà almeno 15 miliardi di euro alle grandi banche italiane. Dopo che il Banco Popolare è venuto allo scoperto chiedendo al mercato due miliardi, le sale operative sono tornate a fare i conti in tasca a Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte Paschi e al variegato mondo delle Popolari. La maggior parte, secondo alcuni analisti raggiunti ieri dal Giornale , sono a corto di patrimonio soprattutto se confrontate alle concorrenti estere che hanno già deciso di mettere mano al portafoglio: 20 miliardi solo nelle ultime settimane. Lo spettro di un possibile quanto generalizzato taglio del dividendo, paventato anche dal Financial Times , ha poi trasformato la paura in terrore: al termine di una giornata ben peggiore, il Banco Popolare ha lasciato sul terreno il 5,6%, Monte Paschi il 3,4%, Intesa Sanpaolo il 2,6%, Popolare Milano il 2,4% e Ubi il 2,1%; ha limitato invece i danni Unicredit (-0,8%). Il mercato è restato disorientato davanti al maxi-aumento del Banco: tra bond convertibile e ricapitalizzazione, in meno di un anno l’istituto guidato da Pier Francesco Saviotti ha chiesto al mercato 3 miliardi, più dell’attuale capitalizzazione attorno ai 2,7 miliardi. Le altre banche sono per gli esperti invece perlopiù all’angolo a causa della difficoltà di negare i dividendi o di battere cassa alle Fondazioni azioniste. A partire da Mps, a corto di ossigeno in termini di Tier One ma nel contempo controllato dalla Fondazione Mps che difficilmente accetterebbe di perdere la maggioranza assoluta della banca. Ieri Siena ha «smentito categoricamente» il nuovo rincorrersi di voci che scommettevano su una ricapitalizzazione, ma alcune case di analisi sono convinte che il presidente Giuseppe Mussari non potrà indugiare a lungo. Peraltro, fanno notare gli analisti, anche Saviotti a settembre aveva negato ogni ricapitalizzazione («per ora non se ne parla») mentre ieri il presidente Carlo Fratta Pasini l’ha definita un passo«inderogabile»per Verona. Equita e Centrosim sono apparse molto caute sull’operazione, che è invece stata promossa dal sindaco di Verona, Franco Tosi secondo cui il Banco «fa bene a coprirsi le spalle ». Tosi si è poi detto favorevole a un impegno della Fondazione Cariverona nel Banco. Sotto osservazione anche la Popolare Milano e il Credito Valtellinese che, come Mps, si sono appoggiate ai Tremontibond e devono ora fronteggiare costi crescenti. La Milano di Massimo Ponzellini ha di recente perso l’affondo su Monte Parma, poi inghiottita da Intesa Sanpaolo, proprio a causa della limitata disponibilità di cassa. Difficoltà delle Popolari a parte, il corto circuito più complesso da risolvere appare quello delle Fondazioni e della stretta di Basilea 3: «Alcuni gruppi creditizi si trincerano dietro al fatto che c’è tempo fino al 2019 ma il mercato inizierà a pretendere un Tier One all’ 8 % molto prima, probabilmente dal 2012 o dal 2013», ha sottolineato un analista di Londra, prevedendo una pressione crescente sugli istituti italiani a mano a mano che le concorrenti europee spingeranno verso l’alto l’asticella del patrimonio. Molti sperano che la ripresa economica risolva la gran parte dei problemi in bilancio, ma il tempo è poco anche perché, prosegue l’esperto della City, «le banche italiane hanno un modello di business basato sugli impieghi che assorbe molto capitale e toglie flessibilità d’azione. Inoltre i tassi ai minimi rendono difficile fare utili ».
L’alternativa è proseguire la campagna di vendita che ha già portato all’estero molti pezzi pregiati della nostra industria creditizia. STIME Ai gruppi italiani servirebbero 15 miliardi Il corto-circuito tra Basilea e le Fondazioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.