Massimo Malpica
da Roma
La «pantera nera» perde il pelo ma non il vizio. Ieri Silvia Baraldini, la cui adesione negli Usa allorganizzazione rivoluzionaria afroamericana dei Black Panther le costò due arresti e una condanna per concorso in evasione, associazione sovversiva e tentata rapina, è tornata a confrontarsi con il suo passato. Partecipando a un incontro sul «Black Panther Party» organizzato dal centro sociale romano «La Factory occupata». Ospite donore era David Hilliard, storico fondatore del movimento che rifiutava la «non violenza» come risposta alle discriminazioni razziali. Laltro membro delle Bp presente alla conferenza, appunto, era lei. Ad onta dei fantasmi che quella sigla dovrebbe evocarle. In seguito a una rapina a un portavalori nella quale morirono due poliziotti e una guardia giurata venne arrestata. E gli Usa, pur non ritenendola coinvolta in quegli omicidi, nel luglio 1983 condannarono litaliana a 43 anni di carcere per attività illecite legate alla sua militanza nelle pantere nere, tra cui il concorso nellevasione di Assata Shakur, uno dei capi del Black Liberation Army che stava scontando lergastolo. Dopo 17 anni di braccio di ferro tra Italia e Stati Uniti, nel 1999 Palazzo Chigi ne ottenne il rimpatrio, dietro impegno formale che la donna avrebbe terminato di scontare la condanna nel Bel Paese. Ma Silvia è tornata libera ben prima del termine della pena: nel 2001 ottenne i domiciliari per problemi di salute e nel 2006, grazie allindulto, ha definitivamente detto addio al carcere. In questi anni si è trovata al centro di polemiche nonostante il basso profilo tenuto. In particolare fece scalpore la decisione del Campidoglio guidato da Walter Veltroni di offrirle, nel 2002, una consulenza retribuita: 12mila euro.
I mugugni di Washington per la rottura del «patto» sono stati tutto sommato contenuti, probabilmente proprio per la scarsa loquacità della Baraldini. Che ora, però, da donna libera, ha deciso di tornare a dire la sua proprio sul movimento che la vide protagonista negli Stati Uniti.
Il suo ruolo, tra i «disobbedienti» romani riuniti nellex idrovora «okkupata» del quartiere Ostiense, era duplice: traduttrice e testimone. Nella prima veste ha aiutato Hilliard a colloquiare con la platea. Che si è spellata le mani quando il leader afroamericano prima ha paragonato lodierna Hamas alle «Black Panther» («Usano le armi ma hanno dalla loro il favore della popolazione a cui offrono assistenza, proprio come facevamo noi»), poi dopo aver spiegato che «le armi sono solo uno strumento per prendere il potere, ma la vera rivoluzione si fa con il cambiamento e con la crescita interiore», ha «investito» gli antagonisti romani, affidando loro il compito di riprendere gli ideali di lotta delle Bp. E giù applausi. Ma, appunto, anche la Baraldini ha partecipato attivamente al dibattito. Chiedendosi, per esempio, come mai la lotta per lindipendenza basca sia ancora in atto mentre il Kosovo ha ottenuto il riconoscimento internazionale. Sulla sua esperienza personale la Baraldini ha glissato, salvo raccontare del suo ruolo di «bianca» in un movimento di neri, motivato proprio dalla volontà di rendere interrazziali e globali gli ideali rivoluzionari delle Bp. Nessun accenno alla sua travagliata storia giudiziaria e penitenziaria. Ma nessun problema nellapplaudire convinta quando il moderatore dellincontro invita la platea a solidarizzare «con i ragazzi arrestati ingiustamente laltra mattina», riferendosi ai militanti del «blocco precario metropolitano» che avevano resistito allo sgombero di una tendopoli ai piedi del Campidoglio.
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