Cultura e Spettacoli

Barbareschi: il cinema m’ignora meno male che c’è anche la tv

L’attore parla di «Giorni da Leone 2» in onda su Raiuno

Paolo Scotti

da Roma

Da rompiscatole provocatore ad adorabile canaglia. È mai possibile che Luca Barbareschi sia riuscito a diventare simpatico? A giudicare da Giorni da Leone 2 - seguito della fortunata pri- ma serie, in cui l’intemperante attore già rifaceva (più amabilmente) se stesso - sembra proprio di sì. Un numero due non nasce mai senza la richiesta del pubblico; «ed evidentemente, sebbene io sia snob per natura e tutt’altro che popolare nel vero senso della parola, pare che oggi al pubblico io piaccia». Torna allora, più scavezzacollo e mascalzone che mai, ma sempre irresistibile, il fotografo-donnaiolo Leone: cinque mogli, altrettanti figli, un numero imprecisato d’impicci e imbrogli.
Se non che, quasi a dimostrare che il Barbareschi perde il pelo ma non il vizio (di polemizzare), mentre presenta le nuove quattro puntate, dirette da Francesco Barilli e in onda da stasera su Raiuno, eccogli tornare - impenitente - la voglia di rompere le scatole. «Meno male che c’è la tv. Oggi, se non fosse per la mia casa di produzione Casanova, che ogni tanto m’infila in qualche cast, davanti all’obiettivo non reciterei più. Il cinema mi ignora. È la mia spina nel cuore: ne soffro moltissimo». L’ultima sua pellicola, Il trasformista, risale ad un paio di stagioni fa. Critiche così così, distratta accoglienza del pubblico, nessun passaggio in tv. «Eppure è stata coprodotta dalla Rai. E allora chiedo in ginocchio ai dirigenti di viale Mazzini: perchè mandate in onda di tutto e il mio film no? Parla di politica, d’accordo; ma è al di sopra delle parti». Sul perché nessun regista sembri ricordarsi che lui è uno dei miglior attori della sua generazione, Barbareschi ha una teoria precisa: «Non credo dipenda dalle mie idee politiche. Oggi la politica sta diventando una barzelletta: nessuno ha il coraggio di fare quello che dice. E quando nel West End londinese o a Broadway mi cercano per il mio musical Chicago, nessuno s’informa sulle mie idee politiche». La ragione vera sarebbe, semmai, tutta questione di ruoli: «Oltre che interprete io sono anche regista di me stesso. Nonché produttore. E questo viene visto con fastidio. Peccato. Perchè a me piacerebbe lavorare coi registi che stimo, come Tavarelli, Virzì, Muccino. E da parte mia non ho mai avuto difficoltà a dirigere bravi attori di colore politico opposto al mio».
Intanto proprio la scomoda verve controcorrente del personaggio Barbareschi viene capitalizzata da Giorni da Leone 2: «Leone è Barbareschi; Barbareschi è Leone - sintetizza il direttore di Raifiction, Saccà -. Perchè, in un gioco di specchi che conferma il gusto trasformista e l’intelligenza interpretativa dell’attore, il personaggio è costruito proprio su di lui. Sulla sua intemperanza, la sua fame di vita, il suo fascino contraddittorio». E a sovrapporre ulteriormente realtà a finzione, ecco arruolata fra le interpreti delle ex donne del protagonista l’autentica ex moglie del primattore. Lucrezia Lante della Rovere. «Fare finta di essere di nuovo innamorati, senza provare più nulla di quel che vivemmo sul serio, è stato come fare della pornografia al contrario - commenta lui - Noi ci siamo amati come Bonnie e Clyde: ne abbiamo combinate di tutti i colori. E ora fingere ci è parso un po’ strano». Quanto al teatro (mentre sta girando la fiction Donna Roma per la tedesca Zdf) il successo continua. E le polemiche anche. «Abbiamo appianato le difficoltà con la Titanus, per il nostro adattamento teatrale del Gattopardo. Loro avevano da ridire, essendo detentori dei diritti; noi avevamo l’approvazione dell’erede di Tomasi di Lampeusa. Gioacchino Lanza Tomasi.

Alla fine abbiamo cambiato il titolo (che ora è Il sogno del principe di Salina - L’ultimo gattopardo) e lo spettacolo è andato regolamente in scena.

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