Barbie resta orfana è morto papà Handler

Si è spento ieri negli Stati Uniti, Elliot Handler, 95 anni, cofondatore della Mattel, il marchio che ha sempre distribuito la bambola più famosa del mondo. La bambola inventata da lui grazie alla moglie Ruth, che osservava la figlioletta giocare con miniature femminili di carta e sceneggiare ruoli adulti. La figlioletta Barbara. E l’altra, di gomma: Barbie.
Aveva lo sguardo altero, gli occhi di ghiaccio, la frangetta fresca di bigodino e un costume da bagno zebrato, la prima Barbie: «Guai a confondermi con una qualsiasi» sembrava dire, appena nata. Concupiscente e introversa, non ha bisogno di sollevare un sopracciglio per aggiudicarsi in tempi record un innamorato: lo storico compagno Ken (all’anagrafe Kenneth, come il figlio degli Handler), pettorali scolpiti e sorriso da pubblicità. Appena cinque anni sul mercato, e arriva pure una sorella, Skipper, versione adolescente (e irrimediabilmente imbronciata) della primogenita. Le seguiranno due paia di gemellini e uno stuolo di amiche coi loro compagni: la coppia composta da Midge e Alan, e la graziosa Christie, sorta di Naomi Campbell che comincia a marcare il mondo di Barbie nel segno del multietnico. Il tempo è passato, per Barbie, ma senza lasciare segni. La piccola grande star (90-60-90 in 180 cm di statura… compressi in una miniatura di scala 1 a 30) ha insegnato alle bambine del mondo cosa sia un paio di gambe dritte, un decoltè affascinante. E soprattutto una passione sconsiderata per la moda. E per il design immobiliare, rigorosamente rosa confetto. Insomma, uno stile di vita che non si fa mancare auto di lusso, camper e yacht. Come farà a permetterseli? Presto detto. Barbie è stata un medico con una dozzina di specializzazioni (chirurgo, pediatra, veterinaria, dentista…); una paleontologa accreditata; una top model; un’ambasciatrice dell’Unicef; una ballerina, una poliziotta, una cronista d’assalto, una rock-star. E una candidata presidenziale: la fondatrice del «Partito delle ragazze», con tanto di programma elettorale stilato dalla Mattel e reso noto negli Stati Uniti nel 2004. Quello che Barbie vuole, Barbie ottiene.
Impossibile non immaginarla al centro di polemiche ambientaliste (Greenpeace che la accusa di intossicare le bambine col piombo e il cadmio e di contribuire alla deforestazione dell’Indonesia per gli imballaggi), o contese sentimentali (per un periodo, nel 2004, Barbie cede alle lusinghe del giovane Blaine, scaricando senza scrupoli il povero Ken: un fuoco di paglia). Impossibile non imitarla, non aspettarsi che le sue rivali si mettano a sgomitare per eliminarla dalle copertine e, chissà, dal primo piano più magnetico nelle vetrine dei negozi. Eppure eccola lì: oggi orfana ma sempre vincente, quanto mai forte di una tradizione che ha saputo conciliare i palati più imprevedibili per cinquant’anni: la vena romantica, quella eroica, quella trendy, quella allegramente trash. Il giocattolo a forma di donna dalle storie infinite.

L’icona che sorride qualunque cosa succeda, con quella luce lasciva e nostalgica negli occhi chiari, sempre sbarrati. L’amica tascabile che non ha mai voglia di litigare: lei, il modello perfetto che ha parlato in decine di lingue con le voci, tutte simili e tutte uniche, di milioni di piccole donne.

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