Barelle, continua l’odissea: 118 ostaggio degli ospedali

Policlinico Casilino, attesa di 12 ore per riavere la lettiga

La barella del 118? C’è da fare gli scongiuri perché ormai nei pronto soccorsi della capitale si libera solo se il paziente muore. Pazzesco, ma quando domenica sera un’ambulanza della Croce rossa ha portato al Policlinico Casilino un trentottenne in preda a convulsioni e con un sospetto attacco cardiaco, l’equipaggio ha dovuto aspettare fino a ieri a mezzogiorno prima di riavere indietro la lettiga e tornare in servizio. Ma solo perché l'uomo, nel frattempo, era deceduto. Per quattordici lunghissime ore autista, ausiliario e infermiere, sono rimasti a braccia conserte, letteralmente sequestrati col loro mezzo inchiodato nel parcheggio dell’ospedale, prigionieri di una sanità che a Roma fa acqua da tutte le parti.
Alle 23 l’sos per il soccorso in via degli Olivi, a Centocelle. Il paziente stenta a respirare, per i sanitari non ci sono dubbi: è un codice rosso e bisogna fare in fretta. Una manciata di minuti e l’ambulanza dei volontari del Prenestino convenzionati col 118 è già sul posto; poi la corsa a sirene spiegate verso il pronto soccorso del Casilino. Una, due, tre ore. La centrale chiama, ha bisogno del mezzo. «Negativo. Non possiamo muoverci. Non ci ridanno la barella», rispondono gli operatori. È la solita storia, più volte denunciata da capisala, responsabili dei dipartimenti d’emergenza e accettazione, dagli stessi vertici del 118: mancano i posti letto e gli accertamenti diagnostici, l’osservazione si fanno sulle barelle a scatto dell’arrivo, paralizzando il pronto intervento.
I più maligni insinuano persino che in alcuni casi la restituzione delle barelle avvenga con tutta calma per posticipare o, addirittura, evitare nuovi arrivi e, di conseguenza, l’ingolfamento di astanterie e sale operatorie. Fatto sta che interi quartieri da mesi sono perennemente a rischio black out e le ambulanze s’accavallano in una faticosa rincorsa tappabuchi per raggiungere le zone che restano scoperte. A mezzogiorno di ieri ecco ricomparire la barella del Prenestino, dopo una nottata trascorsa snervati da un’attesa infinita. Assurdo, ma è libera solo perché il paziente non ce l’ha fatta. Una settimana fa Marco B., infermiere in servizio sull’ambulanza di Tor Vergata scende dalla vettura con due colleghi per comprare la cena in una pizzeria. Hanno dietro le radio del soccorso. All’improvviso viene affrontato da un energumeno sui vent’anni. Senza motivo gli s’avventa addosso e lo prende a pugni. L’equipaggio è di nuovo fermo, i soccorsi sospesi. «Esistono quartieri - spiegano alcuni operatori - dove la situazione è al collasso.

Ospedali come il Casilino, il Vannini, lo stesso Policlinico di Tor Vergata ma anche il centralissimo San Giovanni e il nuovo Sant'Andrea sono costretti a chiudere periodicamente le accettazioni per mancanza di barelle e posti letto».

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