Cronaca locale

Una «barra» per unire Est e Ovest E l’arte diventa strumento di pace

Il critico milanese Manazza: così gli artisti nell’era della comunicazione globale possono mettere in dialogo Occidente e Islam

Mimmo Di Marzio

Un ponte tra i popoli di Est e Ovest attraverso la letteratura e l’arte. È la grande scommessa di un singolare editore milanese, Maurizio Gatti, che alla fine degli anni ’90 ha fondato la casa editrice «O barra O», sigla che sta per Oriente barra Occidente. Il progetto, nato all’interno del «Centro Studi Assenza», associazione impegnata nella ricerca linguistica, musicale, teatrale e artistica, ha l’obbiettivo di dare voce al ricchissimo patrimonio letterario, filosofico e poetico prodotto nell’Oriente contemporaneo e conosciuto solo in minima parte dal pubblico italiano.
Tra i titoli degli ultimi mesi della casa editrice, figurano Geopolitica dello tsunami: solidarietà e strategie nella catastrofe che ha sconvolto l’Asia», L’adorato Kim Chong-Il: biografia del leader nordcoreano» e A Oriente del profeta: l’Islam in Asia ai confini del mondo arabo. Un tema, quello del conflitto culturale con il mondo islamico, divenuto di particolare attualità in un momento storico come quello attuale in cui le differenze tra le due anime del mondo hanno rappresentato lo strumento per conflitti sanguinosi.
Proprio in questa chiave, nei giorni scorsi è stato presentato a Milano l’ultimo progetto editoriale di «O barra O», un saggio dedicato all’arte contemporanea come strumento di pacificazione tra Occidente e mondo islamico. Suggestiva e stimolante la chiave di lettura proposta dal giornalista e critico milanese Paolo Manazza, autore del libro intitolato Sulle finalità dell’arte dopo l’11 settembre. La tesi del saggio è che sulle rovine del conflitto globale nato con l’abbattimento delle Twin Towers, stia nascendo in questi anni una visione etico-estetica del mondo in grado di indicare la via della riconciliazione tra Islam e Occidente. Da tempo, del resto, le Biennali d’arte di tutto il mondo sfornano progetti di artisti che esplorano il tema dello scontro politico tra culture, Oriente e Occidente, cristianesimo e Islam, analizzando le contraddizioni di una società globale e postcoloniale, e mirando al superamento dei conflitti tra i popoli e delle barriere identitarie e geografiche.
«Il fatto è che - spiega Manazza - lo sviluppo delle arti è ormai uno strumento politico e filosofico per l’intero pianeta, poiché potrebbe essere in grado di indicare la nuova strada di sviluppo e pacificazione. Se questa nuova visione del mondo concepisce l’eticità generale come scopo dei singoli e, nel contempo, la bellezza dell’individuo come suo profitto, allora gli orizzonti delle differenze saranno costretti a trasformarsi nella logica dello sviluppo e della pacificazione. O meglio della trasformazione delle energie guerresche nella lotta per la rappresentazione della guerra o della sua stessa idea, esteticamente intesa».
Il dialogo tra le due anime del mondo, quella orientale e quella occidentale, trova oggi un terreno favorevole in un’arte che utilizza in modo sempre più determinante i moderni mezzi di comunicazione e internet. «Il progresso della tecnologia - dice l’autore - ha permesso di abbattere (grazie per esempio all’informazione in tempo reale) dei muri e delle barriere culturali esistenti da molti secoli. Quest’improvvisa vicinanza e “scopertura” genera sospetti, timori e dunque produce aggressività, si badi in entrambe le parti. Anche in questo rapporto conflittuale l’arte ha un compito preciso: quello della pacificazione degli animi.

Compito che non può certo essere svolto dalla religione visto che essa stessa è spesso - strumentalmente - all’origine del conflitto».

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