Base Usa di Vicenza E' guerra nell'Unione

Il ministro dell’Interno Amato favorevole all’ampliamento. Ma Russo Spena: "No". Prodi tergiversa: "Decideremo". L’allarme del capo dello Stato. Vicenza in marcia su Palazzo Chigi: "Sì alla caserma"

Base Usa di Vicenza 
E' guerra nell'Unione

Roma - Ora scendono in campo anche Amato e Napolitano. L’ultima notizia è che dopo giorni di polemica e veti reciproci, il futuro della base americana che gli Usa vogliono ampliare a Vicenza sarà deciso in Consiglio dei ministri (forse addiritura venerdì). Certo, per ora Romano Prodi si affida a frasi sibilline: «Decideremo a tempo debito». Ma il tempo corre, e ogni minuto di indecisione corrode la maggioranza e l’immagine estera dell’Italia. La non scelta determina un danno incredibilmente superiore a un sì o a un no (che implicano inevitabili fratture).
L’allarme di Napolitano. È così forte questo paradosso che ieri, con un comunicato ufficiale, il presidente della Repubblica Napolitano ha fatto sapere che in un colloquio con il presidente del Consiglio «non è mancato un accenno al tema dei rapporti fra Italia e Usa, alla luce delle imminenti decisioni del governo italiano sulla base di Vicenza». Ma il tenore del dialogo fra i massimi vertici dello Stato è ancora superiore, se è vero che al di là della nota ufficiale, per Napolitano «non deve in alcuno modo essere messa in dubbio la collocazione internazionale dell’Italia». Un dilemma, visto che Rifondazione, Verdi, Pdci e parte considerevole dei Ds (ad esempio Fabio Mussi) si oppongono.
Amato: «Va fatta». In realtà, mentre fervono trattative intense nella maggioranza, il braccio di ferro fra l’ala radicale e quella riformista diventa una sfida in cui chi cede si fa male. In tarda sera, ieri, era il ministro degli Interni Giuliano Amato a mettere clamorosamente sul tavolo il peso del suo pronunciamento. «L’Italia - sostiene Amato - farebbe bene a dire sì agli Stati Uniti sull’ampliamento della base Usa di Vicenza, io sarei favorevole». E poi, rincarando la dose: «Diventa particolarmente delicato assumere una posizione diversa. Io credo che una decisione sul sì o sul no sia influente sui rapporti Italia-Usa».
Russo Spena: «No netto». Ma se Amato accelera, uno dei leader parlamentari di Rifondazione comunista, il capogruppo al Senato Giovanni Russo Spena (l’uomo che pure aveva trovato il difficilissimo compromesso sul voto per la missione in Afghanistan) questa volta tira il freno a mano e chiude ogni spiraglio: «Su questo tema - dice al Giornale - non accettiamo ricatti di sorta». La posizione del partito è chiara: «La nostra è una posizione di netta chiusura a ogni ipotesi di ampliamento». E motiva così: «A tre chilometri c’è Ederle, poco più distante Aviano. il raddoppio è contrario a ogni logica di tipo militare, civile, strategico. L’unica vera motivazione è che gli americani vogliono usare Aviano come deposito di munizioni e Vicenza come base per gli aerei». E se gli chiedi come reputa l’accusa di antiamericanismo che cade sul governo Russo Spena è altrettanto netto: «Noi ci opponiamo a una decisione del governo Bush, l’antiamericanismo non c’entra». È possibile un baratto tra il no alla base e il sì al rifinanziamento della missione afghana? «Tavoli di questo tipo non ci interessano. L’unica mediazione accettabile è il sì a un referendum in cui a decidere sia la popolazione locale».
Fassino sì al referendum. A sorpresa, intanto, su questo punto concorda anche il leader dei Ds Piero Fassino: «L’unica soluzione è consultare i cittadini via referendum. Poi il governo si assume le proprie responsabilità»
L’affondo di Fini.

Sarà pure il problema di un «dissenso circoscritto con gli Stati Uniti» (come spiega con meraviglioso eufemismo il ministro degli Esteri Massimo D’Alema), ma il centrodestra è assolutamente deciso a dar battaglia sulla base: «Bush - attacca durissimo Fini al Tg3 - sa che Prodi è premier anche con il voto determinante di coloro che in piazza bruciano le bandiere Usa e israeliane. E in termini più precisi - sottolinea - proprio oggi il presidente somalo ha detto che D’Alema è stato il più duro nei confronti dell’intervento americano, intervento che era stato chiesto dal governo somalo».

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