Basta col panino della salute È meglio grasso e cattivo

Doppia maionese, cipolla, una colata lavica di cheddar cheese, sì proprio il formaggio arancione-colesterolo, un paio di strati di carne iperproteica e magari una fetta di pancetta fritta, bella croccante, proprio come le tue arterie. Addenti il panino spudorato e ti pare di avvertire i capillari che si irrigidiscono. Mordi, poi pensi alla pubblicità progresso anti cibi grassi, a quella sfigata particella di sodio, alle bacchettate del dietologo. E solo per oggi, solo per un panino, te ne freghi e mordi di nuovo. Che liberazione, che piacere.
Un piacere breve, perché poi magari arriva la sindrome da sonnolenza macdonaldiana, l'appesantimento, la fame chimica di citrosodina. E poi chissà perché li chiamano fast food? Se non scegli il panino già pronto devi aspettare un'ora e magari ragionare con una cassiera con i piedi gonfi che capisce meglio lo spagnolo che l'italiano. Eppure, nonostante tutto, milioni di persone nel mondo continuano a fare la fila sotto l'insegna della «M» gialla e catene similari. Come è possibile? Quel che è appena successo nei ristoranti McDonald's Italia lo spiega meglio di un articolo di Alberoni. A cinque mesi dal lancio, l'azienda americana ha deciso di cancellare dal suo menù il panino McItaly: carni nostrane, crema di asiago, carciofi romani. La richiesta languiva.
Non lo voleva nessuno quel panino tutto sanissimo e certificato, come aveva voluto l'ex ministro dell'Agricoltura Luca Zaia con un'iniziativa teoricamente lodevole, ma che non teneva conto del «fattore P». Solo la brama per una «Porcheria» spiega la sopportazione per la fila in piedi, l’olezzo di fritto e le scontro di civiltà con la cassiera, oltre che le prevedibili conseguenze gastriche. Tutto in nome della «Porcheria», di un sapore forte e trasgressivo. In materia va ricordato il film sul tipo che per un mese mangiava solo hamburger e poi non riusciva più a farne a meno. L’intenzione era di denunciare l’effetto dipendenza generato dal formaggio, che libera endorfine. Bene, il messaggio è arrivato. Ma ormai il consumatore sa i rischi che corre. E sa pure che l’endorfina è soprannominata l’ormone della felicità.
Va bene, piano: se la vicina di casa somministra sistematicamente ai figli una dieta simile, va denunciata all'assistente sociale. E le campagne che ci consigliano una corretta alimentazione sono giuste e fondate. Ma la «Porcheria» non è alimentazione. È la via legale per concedersi una coccola, ancor più soddisfacente quanto più è politicamente scorretta. È per questo stesso motivo che l'idea dell’Unione europea di accendere un semaforo rosso sulla nutella per rivelarci che non fa bene è una boiata pazzesca.
Li conosciamo benissimo i rischi. Ma che vita sarebbe se non avessimo mai affondato le dita nel barattolo? Ora pure la Coca Cola Company, pressata dal diffondersi della coscienza salutista, ha lanciato una curiosa campagna di comunicazione: ha inviato nelle redazioni un albero di arancio nano e tre arance, cioè il contenuto di una bottiglia di Fanta, per spiegare che non ci sono più coloranti.

Ma siamo sicuri che piacerà di più la bibita esangue? Quale sarà il prossimo passo, togliergli le bollicine?
Cari dietologi, non si vive di solo tofu. Al massimo si sopravvive. Lasciate che l'adulto consenziente si rovini e goda con le sue «Porcherie».

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