Minacce (datate) di Trump a Putin. "Bombe su Mosca se tocchi Kiev"

Svelato un audio della campagna 2024: "Lui rispose: Non ti credo"

Minacce (datate) di Trump a Putin. "Bombe su Mosca se tocchi Kiev"
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"Bombardare a tappeto" (anche se l'espressione originale è molto più colorita) Mosca e Pechino se Russia e Cina avessero invaso rispettivamente l'Ucraina e Taiwan. Donald Trump nella campagna presidenziale dello scorso anno non si faceva scrupolo nel riferire i contenuti delle sue telefonate con Vladimir Putin e Xi Jinping durante il suo primo mandato alla Casa Bianca ed evocare lo spettro della guerra totale con le altre due superpotenze del pianeta.

Parole pronunciate durante un incontro privato con i ricchi donatori Repubblicani e ora rivelate da un audio pubblicato dalla Cnn, a sua volta ottenuto dai giornalisti Josh Dawsey, Tyler Pager Isaac Arnsdorf, autori di 2024, libro dedicato all'ultima corsa per la Casa Bianca. Trump usò l'argomento per sostenere una delle tesi a lui più care: "Con me al posto di Biden non ci sarebbero state guerre". Ma anche per smontare le inchieste e la pubblicistica che per anni hanno cercato (senza successo) di dimostrare una sua incofessabile sudditanza nei confronti del leader russo.

Eppure, al netto delle iperboli di cui è ricca la retorica trumpiana, rimangono parole pesantissime. "A Putin ho detto: Se vai in Ucraina, bombarderò Mosca a tappeto. Ti dico che non ho scelta", fu il racconto di Trump alla platea di miliardari chiamati a finanziare la sua campagna. "Non ti credo", sarebbe stata la replica di Putin. "Ma mi ha creduto al 10%", la conclusione del tycoon.

Torna alla mente la dura reprimenda lanciata da Trump a Zelensky nella rissa verbale consumatasi a febbraio nello Studio Ovale: "Stai giocando con la Terza Guerra Mondiale". Evidentemente, Trump si era fatto più cauto.

Dello stesso tono la minaccia rivolta a Xi Jinping. "Se invadete Taiwan raderò al suolo Pechino. Ha pensato che ero pazzo. Ma non abbiamo mai avuto problemi". In questo caso, torna alla mente un retroscena che risale agli ultimi sgoccioli del primo mandato del tycoon. Erano i giorni successivi al 6 gennaio, l'assalto a Capitol Hill, con Trump che appariva fuori controllo e disposto ancora a tutto pur di rimanere alla Casa Bianca. È allora che l'ex capo degli Stati Maggiori Riuniti, il generale Mark Milley, chiamò il leader cinese per rassicurarlo che l'arsenale nucleare era in mani meno imprevedibili di quelle del presidente.

Al di là delle parole riportate negli audio, va oggettivamente ricordato che Trump rimane uno dei presidenti più cauti del Dopoguerra sul fronte militare, avendo accantonato, in nome dell'America First, gli interventismi "umanitari" di Clinton e Obama e avendo totalmente disconosciuto la pretesa neocon di impiantare la democrazia nel mondo a suon di guerre. E anche gli "assegni in bianco" firmati a Zelensky e Netanyahu, di cui i Repubblicani Maga hanno accusato in questi anni l'amministrazione Biden sono un ricordo del passato.

Persiste, nella dottrina militare trumpiana, il concetto di "pace attraverso la forza" che fu proprio di Ronald Reagan. Con l'Iran, per ora, sembra avere funzionato.

E qualcosa si sta muovendo anche sul fronte ucraino, dopo che lo stesso Trump ha finalmente ammesso che Putin "mi sta dicendo un sacco di stronz..te"" e si è mostrato spiazzato di fronte all'iniziativa del capo del Pentagono Pete Hesgeth di sospendere gli aiuti militari a Kiev senza informare prima la Casa Bianca.

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