L'Italia merita rispetto a partire dalla Libia

Se un nostro ministro viene respinto da un Paese a cui versiamo soldi, mentre noi non possiamo nemmeno espellere chi minaccia di stuprare i nostri bambini, allora qualcosa non funziona

L'Italia merita rispetto a partire dalla Libia
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Caro direttore Feltri,
come commenta quanto accaduto in Libia al ministro Piantedosi, rispedito indietro come un clandestino qualsiasi? Possibile che si accetti un simile affronto?

Ivan Bellocci

Caro Ivan,
non è solo possibile, è accaduto. E sarebbe il caso di dirlo chiaramente, senza giri di parole, senza i cerotti diplomatici con cui si cerca di coprire le ferite alla nostra dignità nazionale. Il ministro dell'Interno italiano, Matteo Piantedosi, è stato dichiarato persona non grata dalle autorità libiche di Bengasi. Respinto. Cacciato. Offeso. Umiliato. E non perché avesse minacciato nessuno, non perché fosse ubriaco, molesto o privo di documenti, come tanti di quelli che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste. No: lui era lì in rappresentanza dell'Italia, nel pieno rispetto delle regole, con una delegazione ufficiale europea per discutere proprio del fenomeno migratorio. Un tema che riguarda la Libia quanto l'Italia, dato che abbiamo versato miliardi a questi governi locali in cambio di una cooperazione che, evidentemente, vale solo quando fa comodo a loro. Chi conosce un minimo il diritto internazionale sa che dichiarare un ministro persona non grata è uno degli atti più gravi e deliberati che una Nazione possa compiere. Significa: «Non ti riconosciamo, non ti vogliamo, vattene». È un rigetto delle lettere credenziali, un gesto che nega perfino le basi della diplomazia. Una vera e propria umiliazione. E l'hanno fatto non a un passante, non a un turista, ma al rappresentante di uno Stato sovrano. Al ministro dell'Interno. Uno che incarna l'autorità pubblica, l'ordine, la legalità. Uno che, come si suol dire, rappresenta il Paese. Domanda: cosa succederebbe se l'Italia dichiarasse persona non grata un ministro africano in visita a Roma? Si alzerebbe un coro di indignazione. L'ONU ci accuserebbe di razzismo, l'Europa ci imporrebbe sanzioni morali, i soliti noti sfilerebbero con i cartelli restiamo umani. Ma se la Libia fa questo a noi, va tutto bene. Nessuno fiata. Nessuna reprimenda. Nessuna ritorsione. E intanto, sulle nostre coste, sbarchi a ciclo continuo. Persone senza identità, senza passaporto, senza controlli. E guai a opporsi, perché si rischia l'accusa di fascismo. Ricorda quel caso di pochi giorni fa? Un immigrato, già noto per comportamenti aggressivi, aveva minacciato pubblicamente una bambina di otto anni e la madre, Giorgia Meloni, con allusioni sessuali, offeso i poliziotti, insultato la premier. Era stato espulso. Ma una giudice, tale Albano, ha annullato il provvedimento. Perché? Perché siamo garantisti solo con chi ci disprezza, accoglienti solo con chi ci insulta, tolleranti solo con chi calpesta le nostre leggi. In compenso, dall'altra parte del Mediterraneo, uno Stato che ha ricevuto montagne di denaro per trattenere i flussi migratori, decide che il nostro ministro è sgradito e ce lo rimanda indietro. E noi? Zitti. Ringraziamo e sorridiamo. Ci stringiamo nelle spalle e parliamo di malinteso protocollare. Che vergogna! Non si è trattato di un disguido burocratico, ma di un incidente diplomatico in piena regola. Di un affronto. Di un messaggio chiaro: voi siete irrilevanti. Ecco il punto: ci trattano così perché glielo permettiamo. Perché accogliamo tutti, ma non pretendiamo rispetto da nessuno. Perché ci vergogniamo della nostra sovranità, come se fosse un crimine. Mentre loro, che non hanno né libertà di stampa né Stato di diritto, si atteggiano a giudici supremi dei nostri rappresentanti. Forse è giunto il momento di imparare da loro. Di essere noi a respingere. Di dire no a chi non rispetta le regole, a chi non riconosce le istituzioni, a chi pretende tutto e non concede nulla. Smettiamola di fare i buoni a senso unico. E, soprattutto, smettiamola di farci prendere a schiaffi senza neanche la dignità di rispondere.

Concludo: se un nostro ministro viene respinto da un Paese a cui versiamo soldi, mentre noi non possiamo nemmeno espellere chi minaccia di stuprare i nostri bambini, allora qualcosa non funziona. E non è la Libia il problema, ma la nostra vigliaccheria.

Immigrazione clandestina è come un'arma e noi dobbiamo difenderci senza affidarci a chi ci odia. Ma proteggendo i nostri confini e pretendendo che vengano rispettati, con chiusura dei porti, alla maniera di Salvini, soprattutto se i flussi aumentano, ovvero nei momenti di massima pressione.

Amen.

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