Il pamphlet del critico Jean Clair L’hiver de la culture è appena uscito in Francia e già se ne parla molto, anche in Italia. Non perché sia interessante, ma perché è il solito librino che dice le solite cose di cui piace parlare quando non si ha niente di cui parlare. Insomma, ogni anno, a cicli più mestruali che storici, qualche intellettuale troppo di sinistra o troppo di destra o semplicemente troppo vecchio si lagna della modernità. Nella fattispecie Jean Clair ce l’ha con gli artisti più pagati: Koons, Cattelan, Murakami, Hirst, praticamente con tutti quelli che contano, e retrocedendo nel j’accuse fino a Marcel Duchamp.
Sarebbero tutti rei di pensare solo al mercato, e di non avere più le «conoscenze tecniche delle botteghe», sic. A quali botteghe si riferisca non si sa, è come se Clair si fosse svegliato un giorno reincarnandosi in Giorgio Vasari, voglio dire: il valore artigianale dell’opera d’arte è scomparso da oltre un secolo e le botteghe per fortuna non ci sono più, a parte quella dei jeans che mia mamma quando mi vede ancora mi dice di chiudere.
Ai tempi di Vasari, tra l’altro, l’arte non solo era solo al servizio del mercato, molto peggio. Alla bottega del Verrocchio, dove imparò il mestiere Leonardo Da Vinci, si fabbricavano anche fibbie, scudi, elmi, else di spade, borchie di ogni foggia, in quanto l’artista era in sostanza un artigiano, e fuori dalla bottega al servizio delle committenze. Gli ordini importanti erano più o meno importanti opere propagandistiche: o propaganda fide o di qualche casa regnante o casata nobiliare. Quando Giulio II chiamava Michelangelo non chiamava soltanto un pittore ma il massimo mezzo tecnologico di persuasione visiva di cui un potere assoluto potesse disporre.
Attenzione, quindi, a andare per chiese e musei e scambiare le forme per contenuti degli artisti: se Michelangelo fosse vissuto negli anni Trenta, in Germania, anziché affrescare la Cappella Sistina avrebbe affrescato la Cappella del Terzo Reich, al posto degli angioletti avrebbe piazzato tante svastichette volanti, senza porsi problemi, e magari al posto del Giudizio Universale avrebbe dipinto la Soluzione Finale, che problema c’era. Certo, osservando bene le sue opere la vera ossessione d’artista si intuisce: fosse stato per lui avrebbe dipinto solo corpi maschili muscolosi, come quelli amati da Walter Siti e fotografati da Mapplethorpe.
Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, e quant’è bello il Rinascimento, e tuttavia se non piacevi alla committenza nel migliore dei casi non lavoravi, mentre se ti andava male e magari volevi essere il precursore di Lucio Fontana, mettendoti a tagliare tele per anticipare lo Spazialismo di cinque secoli, rischiavi di essere processato dal Tribunale della Santa Inquisizione. Così come negli Trenta nel XIX secolo a Monaco di Baviera rischiavi di finire nella mostra dell’«arte degenerata», secondo le idee di Hitler su artisti come Kandinskij o Klee o Schiele o Bacon. Ma è anche quello che paradossalmente pensa Clair (usando lo stesso termine: «degenerazione contemporanea») degli artisti di oggi. E è anche quello che pensava, prima di Clair, Hans Sedlmayr, un critico reazionario che nel 1948 pubblicò La perdita del centro, auspicando un ritorno all’arte sacra, pensa te.
In ogni caso se nella Firenze del Rinascimento non ti piacevano i Medici dovevi aspettare qualche secolo che arrivassero i Lorena, oppure sperare ti ingaggiasse il papa, dove però spesso, secondo il principio dei vasi di potere comunicanti, erano Medici anche lì. Oppure andartene all’estero, magari in Spagna, alla corte di Filippo II, purché ti stessero simpatici gli Asburgo, e soprattutto purché tu stessi simpatico a loro, altrimenti era meglio lasciar perdere. Nessun artista non moderno dipingeva per sé.
Basta entrare in qualsiasi museo per rendersi conto che per secoli e secoli hanno dipinto sempre le stesse cose. Gli Uffizi o i Musei Vaticani analizzati scientificamente sembrano un manicomio ossessivo-compulsivo: centinaia di migliaia di madonne con bambino, cristi crocifissi, cristi risorti, annunciazioni e, al massimo della libertà espressiva, tante facce di signorotti stronzi e relative mogli che chiamavano Tiziano o Raffaello per farsi immortalare.
D’altra parte basta anche andarsi a spulciare per curiosità il Libro dei conti di Lorenzo Lotto, grande ritrattista rinascimentale della borghesia veneziana, tanto per farsi un’idea di quanto fosse pratica e mercantile l’arte che oggi ci fa tanto sdilinquire d’ammirazione: il costo di un quadro variava non solo rispetto alle dimensioni ma perfino rispetto al
numero di figure e oggetti dipinti, un tot al chilo. Vuoi essere ritratto a cavallo? Costa trecento ducati. Però se vuoi risparmiare ti ritraggo in piedi con una mela in mano, una mela costa solo trenta ducati, affare fatto?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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