Battisti fa pure la vittima: «Ce l’hanno tutti con me»

Ancora Battisti. Il torrenziale, debordante, spudorato Cesare Battisti. Un altro genere d’uomo, al suo posto, quanto meno se ne starebbe muto e defilato. Cercherebbe un angolo irraggiungibile, sparirebbe fisicamente dalla circolazione, andando a godersi l’incredibile beatitudine del miracolato che gli è capitata sul suolo brasiliano (miracolissimo: condannato per quattro omicidi in Italia, si adagia su spiagge sconfinate, tra frutti tropicali e bellezze locali). Ma ormai appare abbastanza chiaro: Battisti non è questo genere d’uomo. E’ di quelli che vogliono stravincere. Schivata la galera grazie alla compiacenza di Lula, non si limita a sfruttare l’asilo politico, ma su questo asilo sta costruendo un’azienda. In attesa dell’immancabile libro memoriale sulla sua - brevissima - detenzione, in questo periodo si promuove e incassa saltando da un’intervista all’altra, diveggiando come una rockstar, dispensando verità come un anacoreta, ma soprattutto recitando il ruolo che più adora, il martire.
Dopo aver raccontato la settimana scorsa quanto gli piaccia il Brasile, quanto gli piacciano le brasiliane, quanto poco gli piaccia l’Italia, nel nuovo appuntamento - diretta sul canale “Folha“ - passa direttamente all’analisi storica di quei famosi anni Settanta. Pentimenti? Naturalmente no, non c’è traccia, quelli vanno esclusi per definizione. E’ come Fonzie, proprio non ce la fa a chiedere scusa. Piuttosto, una serie di convinte conferme. Delirio perpetuo. Per chi ancora non l’avesse compreso: secondo l’eroe dei due mondi, “in quegli anni un movimento rivoluzionario, fatto di milioni di persone, lottava con le armi o senza le armi contro i regimi. In Italia c’era quasi una guerra civile“. E lui? “Io ero molto giovane e credevo di poter cambiare il mondo con le armi. Ma fermiamoci lì. Io non ho mai ucciso. E comunque non siamo stati noi a prendere le armi per primi. I regimi degli Stati cominciarono a uccidere e quindi i movimenti rivoluzionari accettarono la provocazione, rispondendo con le armi“.
Quanto al giovane Battisti, così lo rivede il miracolato Battisti: “Avevo sedici anni quando entrai nella militanza. Se me l’avessero ordinato, avrei ucciso. Per fortuna ciò non è mai successo. Ora non sono più la stessa persona. Oggi la rivoluzione è uno scherzo. Se continuassi a essere un rivoluzionario, sarei un idiota...“.
Stesse tranquillo: si può riuscire benissimo anche senza continuare ad essere rivoluzionari. Ma il nuovo Battisti non è minimamente sfiorato da un principio di autorevisione personale. Sempre più pieno di sè, recita fino in fondo la parte che il buon presidente Lula gli ha concesso: “Io sono una vittima. Prima non ero nessuno: come mai dal Duemila l’interesse è piombato su di me, facendomi diventare l’unico responsabile di tutto quello che è successo negli anni ’70 in Italia? E’ come se da un formicaio si prendesse una formica e le si desse la colpa di quello che avviene là dentro...“.
Basta così. Il seguito lasciamolo ai brasiliani, che tanto l’adorano. Qui da noi non lo si può più stare a sentire: non ce la fanno i familiari delle vittime, non ce la fanno gli italiani che allora non hanno combattuto guerre civili e non hanno usato armi, cioè quasi tutti. E non ce la fanno neppure le nuove generazioni, che faticano a capire come un pluriomicida possa bighellonare da una spiaggia ad una televisione, dalle infradito ai riflettori, sotto gli occhi compassionevoli e ammirati di un Paese grande come il Brasile.
Sperare che il suo pudore gli suggerisca almeno un po’ di rispetto e di discrezione, a questo punto, è impresa disperata. Sperare che capisca la situazione, non ne parliamo. Ma è un fatto: a partire dal presidente Napolitano, di questo Battisti e del suo canto libero l’Italia ha le tasche piene. Noi dei giornali siamo i primi a fargli da amplificatori, purtroppo, ma questo è il dovere d’ufficio. Spegnerlo è impossibile. Ci resta solo una strada: aspettare che finalmente realizzi il suo nuovo sogno rivoluzionario: “Oggi voglio sistemarmi e avere una casa. Gruppi di appoggio in vari Paesi stanno facendo una colletta per me...“.
Ecco: se lo spupazzino i gruppi d’appoggio. Gli mettano su casa e gli comprino i libri. Magari, sistemato a dovere, diventa anche un po’ meno logorroico.

Sappia però che se proprio non riesce a trovare una casa adeguata al suo prestigio, qui ce n’è sempre una che l’aspetta, adeguata ai suoi meriti: monolocale, porta blindata, sole a scacchi e vista sul cortile. Non è la casa dei suoi sogni: è la casa dei nostri. Ci piace sognare di farlo accomodare e poi, finalmente, una volta per tutte, buttare la chiave.

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