Politica

Baudo dice no all’Unione: non correrò da governatore

Marianna Bartoccelli

da Roma

Il «no grazie» di Pippo Baudo arriva dopo appena quarantotto ore che i vertici dell’Unione siciliana lo avevano dato candidato a futuro presidente della Regione. L’anchorman designato come possibile «uomo di rottura» in un panorama che evidentemente non offre grandi alternative tra i politici della sinistra ha detto di no, dopo aver parlato con Prodi, Fassino, alcuni dei suoi amici catanesi, come l’editore Ciancio, e con il regista televisivo Guardì, con cui Baudo condivide gli esordi e la sicilianità. Accanto a lui il suo sponsor principale, Sergio D’Antoni, oggi deputato della Margherita, ex-segretario nazionale della Cisl, ovviamente siciliano anche lui, che aveva subito uno stop da parte della Quercia a possibile candidato. L’idea di Baudo era nata anche dopo che lo stesso D’Alema al Festival dell’Unità a Palermo aveva detto che sarebbe stato utile cercare un nome fuori dalla politica e lontano dai partiti. Insomma, tranne i partiti minori del centrosinistra, tutti sembravano convinti della validità di questa candidatura. Da Roma Franco Marini, Margherita, dichiarava. «È una buona candidatura» e da Palermo anche il vicepresidente dell’Assemblea Regionale, il ds Miro Crisafulli, dava il suo ok: «Dopo l’esperienza di Cuffaro, serve alla Sicilia un nome che dia soprattutto prestigio alla nostra isola». Ma Pippo Baudo ha maturato l’idea contraria e proprio di cambiare mestiere non gli andava. Poche righe per spiegare il perché: «Anche se la considero un grande ed inatteso onore, non sono adatto ad un compito così importante, difficile e complesso, che richiede competenze specifiche che non credo di possedere». Il Pippo nazionale non si è dichiarato disponibile a diventare Pippo regionale e ha forse voluto dare una lezione a quanti indossano la casacca politica forti della loro notorietà televisiva. «Non lascio la Rai», ha aggiunto per motivare il suo no.
Adesso il centrosinistra siciliano si trova a dover prendere una decisione non facile, considerato anche che le tre anime della coalizione vanno ognuno per conto proprio e che è già in moto la macchina per fare le Primarie il 6 novembre. L’accordo nazionale nel centrosinistra prevede che la scelta del candidato a governatore tocchi alla Margherita, anche perché pare che questo partito aumenterà di molto i suoi voti, visto che, insieme all’Udeur di Mastella, ha accolto moltissimi transfughi del centrodestra.
Uno dei pochi legati a Prodi in una regione quasi tutta rutelliana, Enzo Bianco, oggi presidente del Copaco, pare abbia risposto: «Grazie, ho già dato», ricordando la non prevista sconfitta alle ultime Comunali di Catania con Umberto Scapagnini di Fi. Pare che a vuoto sia andato anche il tentativo con Pasquale Pistorio, catanese, attuale vicepresidente di Confindustria. Mentre Sergio D’Antoni che era stato lanciato in pista dal segretario della Margherita, l’ex-ministro delle Comunicazioni, Totò Cardinale, è stato stoppato dai Ds che hanno ricordato che la carriera politica dell’ex-segretario nazionale della Cisl non è stata proprio in salita. Così come è partita male la candidatura di Claudio Fava, eurodeputato ds, forte dei suoi voti alle ultime europee, quando si è trovato con 221.855 voti, testa a testa con Silvio Berlusconi. A proporre il suo nome però è Rifondazione Comunista e i diessini del Correntone. E questo non depone bene per i centristi e i diessini ortodossi, preoccupati di raccogliere i voti dei centristi.
Il no di Baudo e i no degli altri, nascono certamente anche dall’incertezza dei risultati elettorali. Lontani i tempi del 61 a 0, tutti sono comunque convinti che la Sicilia andrà in controtendenza al resto d’Italia e rimarrà saldamente ancorata al centrodestra. Soprattutto se il candidato resta Totò Cuffaro, sostenuto dal suo amico Raffaele Lombardo, fuoriuscito dall’Udc ma non da quel legame di amicizia. La vittoria comunque non sembra più certa come un tempo, secondo gli ultimi sondaggi. Angelo Capodicasa, il segretario regionale dei Ds, sostiene che la forbice tra i due Poli dal 30 per cento è arrivata al 5 per cento e quindi «basta trovare un candidato giusto per tenere la battaglia aperta».

Ma sino ad ora il «candidato giusto» non è stato trovato.

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