Belgio, strage al mercatino di Natale

Belgio, strage al mercatino di Natale

Pensate a una piazza del Nord Europa in periodo prenatalizio. Le bancarelle con i rami d’abete e i giocattoli di legno, le porcellane inglesi e le bambole di pezza, gli gnomi e le streghe, con una musica di sottofondo (non manca, nella compilation, il solito White Christmas di Bing Crosby) e il campanacccio di un Babbo Natale che offre ghirlande di paglia e vischio per pochi euro. Pensate a una piazza del Nord Europa in periodo prenatalizio. Place Saint-Lambert a Liegi, per esempio, cuore di quella vecchia regione mineraria (Marcinelle, 1956, ricordate?) abitata da decine di migliaia di italiani. All’improvviso, come emerso dagli inferi, davanti al severo palazzo dei Principi-Vescovi, cuore della città di 200mila abitanti, il panico, il terrore, intessuto di spari, di esplosioni, di grida, mentre sullo sfondo lentamente si mettono in moto le sirene delle ambulanze e ci sono donne, uomini, bambini che si buttano a terra e altri che si acquattano dietro le bancarelle e i lampioni della luce. Il lamento e le urla dei feriti, e sei corpi immobili, quando tutto finisce, sull’asfalto.
Così, in una gran piazza del Nord Europa, per un giorno almeno, il Natale chiude i battenti e non vuol saperne di musica, di addobbi e di letizia. E si sbaracca, mentre i marciapiedi e il selciato e i cappotti e le giacche a vento rimasti per terra sono inzuppati di sangue, tra sacchetti che hanno sparpagliato il loro contenuto, sciarpe servite a tamponare, ad arrestare emorragie e scarpe scompagnate.
Accade tutto intorno alle 12.30, e quel che si capisce dopo un po’, per il sollievo che ne può venire, è che forse non è un attentato, che gli islamici e Al Qaida se tutto va bene non c’entrano. Forse. Anche se fra i testimoni, per tenere alta la temperatura del giallo, c’è chi insiste a dire che sulla scena erano almeno in due. «Stavo aspettando l’autobus in piazza - ha raccontato una studentessa - quando ho visto due uomini. L’uomo che ha sparato aveva un’arma molto grande, l’altro è scappato. C’era il panico. Nella piazza all’improvviso è scoppiato il caos». È l’opera di uno squilibrato, sintetizza a metà pomeriggio il procuratore del re: un saldatore di mestiere, un trentaduenne il cui nome arabo, magrebino, Norodine (o Noureddine) Amrani, aveva sulle prime fatto pensare a un exploit integralista. Poi, più tardi, si scoprirà che tre anni fa questo Amrani, uno spostato, un deviante, era stato condannato a 4 anni e dieci mesi di prigione per detenzione di armi da guerra e che era stato convocato ieri mattina, nuovamente, dagli inquirenti, ma non si era presentato.
Con chi ce l’aveva ieri, Norodine Amrani? Con tutti e con nessuno. Con i giudici del Tribunale (fra le granate che ha fatto esplodere ce n’è stata una anche contro il Palazzo di Giustizia che si affaccia sulla gran place) e con l’atmosfera lieta, pacifica, serena che nella sua psicopatia giudicava intollerabile. Così, sul far del mezzogiorno, è spuntato sulla piazza, si è diretto verso la fermata degli autobus (ne passano quasi duemila in un giorno dalla gran place) e ha lanciato una serie di granate all’intorno. Poi ha estratto un kalashnikov e ha vuotato un caricatore contro un gruppo di ragazzi che aspettavano il loro autobus. Infine, dallo zaino che aveva con sé ha estratto un revolver e si è ammazzato. O forse, secondo certe testimonianze, è morto ammazzato da una delle sue granate, per sbaglio, e anche per fortuna, nel caso.
Per terra, morti, falciati dalle pallottole, straziati dalle schegge delle granate ci sono un ragazzo di 20 anni, due adolescenti di 15 e 16 anni, una donna anziana e un bambino di 23 mesi. I feriti sono 123.
In un lampo, come per riflesso condizionato, chiudono le scuole, le banche, gli uffici, mentre dalla capitale accorrono il re Alberto II e la regina Paola, insieme col primo ministro Elio Di Rupo. Armi, coltivazione di canapa indiana, abusi sessuali.

Era una vecchia conoscenza della polizia, Norodine Amrani. Ma ipotesi sulla molla che lo ha indotto alla strage, per il momento nessuna. A meno che a dargli sui nervi non fosse proprio il Natale, la serenità, la gioia degli altri…

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