Belmonte eroe taurino che non salvò la Spagna da se stessa

Risplendeva di luce propria, era uno degli uomini più famosi di Spagna

Belmonte eroe taurino che non salvò la Spagna da se stessa
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Nasce in un quartiere di Siviglia, dove il nuovo, le cabine del telefono, si mischia all'antico, gli scrivani di strada circondati dai mocciosi, senza soluzione di continuità. Un bambino fragile e timido, che la mamma veste bene solo per vederselo tornare lordo di fango. C'è in quel corpicino, però, una grazia feroce. C'è un'eleganza innata e testarda che si rivela quando il piccolo Juan Belmonte esegue con gli altri ragazzini il toreo de salón, si intravede un futuro mentre un bambino mugghiante lo carica fingendosi il toro. Inizia così il Juan Belmonte Matador di tori di Manuel Chaves Nogales appena pubblicato da Edizioni Settecolori (pagg. 378, euro 24, con la traduzione e la dotta introduzione di Matteo Nucci). È bene subito chiarire: il libro di Nogales è stato scritto nel 1935, alle soglie di una guerra civile, parla di un eroe popolare, racconta il mito di un uomo del popolo che si fa strada, con picaresco coraggio. Batte il destino nell'arena perché è l'arena che il destino gli ha dato. Rampognare un torero degli anni '30 perché la corrida, vista con occhi odierni, è una feroce macelleria ricoperta di lustrini non avrebbe senso. Altrettanto si può dire di Nogales, giornalista libero e liberale, poco a suo agio con i totalitarismi montanti e, invece, in cerca di un eroe dal basso, capace di tenere assieme tutte le Spagne. Vede l'arena in tripudio e capisce: il piccolo matador di Siviglia ha quelle caratteristiche. Ora vanno narrate. Lui le mette su carta, come una speranza che nel giro di un anno si infrangerà, quando i mortaretti e le feste in piazza verranno sostituiti dalla mitraglia, da una macelleria solo di umani.

Allora lasciamoci accompagnare sulle orme di Belmonte. C'era un preciso classismo nel mondo dei toreri dell'epoca. Ogni toro ha un costo, c'è un percorso preciso per arrivare alle grandi arene, prima ci sono le tienta, prima bisogna avere a che fare con allevatori pomposi. Rievocare le umiliazioni subite non deve essere stato facile per il Belmonte del 1935. Risplendeva di luce propria, era uno degli uomini più famosi di Spagna. Invece nel racconto di Nogales, i fallimenti diventano magicamente un'anticamera di trionfo. Dentro l'arena a volte tra torero e toro la differenza si annulla quando la danza della muleta non è ancora perfetta, la macelleria coinvolge uomo e animale. "Avanzai trascinando le ginocchia sull'arena finché non mi trovai davanti alla testa stessa del toro, lo presi per le corna... gridavo: uccidimi, assassino, uccidimi!". Ferito l'uomo, ferito l'animale, ferita la Spagna da lì a breve. A qualcuno colpirà l'estetica di un'epoca, il suo retaggio di coraggio che Nogales descrive. C'è spazio per lo sbrilluccichio del traje de luces del toreador, certo, ma in realtà il libro vive di ombre, ci sono le botteghe sgangherate. Altere femmine spagnole che sono tutte seduzione e rabbia. Generosi e donchisciotteschi tentativi di trovare posto nel mondo... Anche Belmonte, l'eroe di un'epoca, quel posto faticò a trovarlo, non si può dare stoccate al tempo.

Rimase indietro: a cosa pensava Belmonte quando si uccise, l'8 aprile del 1952, a una faena perfetta o a quel toro che aveva affrontato testa a testa, per farsi ammazzare? Evitarono comunque lo scandalo, lo seppellirono in terra consacrata.

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