La battaglia nelle strade della Libia sta mietendo vittime anche nei nostri portafogli. Come era infatti prevedibile il rincaro del petrolio (che l’altroieri ha brevemente toccato la quota record di 120 dollari al barile) si sta prontamente spalmando sui prezzi della benzina nei distributori, con la verde che è schizzata a un prezzo medio rilevato su base nazionale di 1,54 euro al litro, anche se si segnalano vere e proprie impennate in alcune situazioni locali come alcuni distributori di Napoli dove la benzina si vendeva ieri a 1,648 euro al litro. In pratica le minacce di Gheddafi di far saltare i pozzi di petrolio, per quanto velleitarie possano sembrare, stanno provocando rialzi superiori a quelli registrati nel 2008 quando pure il prezzo al barile era ben maggiore. Come al solito le giustificazioni delle compagnie petrolifere tirano in ballo le differenze dovute alla raffinazione: l’imprevedibilità della situazione avrebbe creato degli squilibri sul regolare trasporto del greggio alle raffinerie esasperando la tensione sui prezzi. Va semmai detto che questa crisi è stata un bel regalo per la speculazione internazionale, dato che in molti, specialmente i grandi fondi americani, stavano da tempo puntando sul rialzo delle materie prime, contando sui rischi di inflazione. Il ragionamento degli operatori è il seguente: appare chiaro che la Federal Reserve, la Banca Centrale degli Stati Uniti, sta praticamente «stampando soldi» da tempo per far fronte ai grandi debiti contratti per salvare le banche durante la crisi (solo ieri sono stati messi in circolazione più di sette miliardi di dollari con l’acquisto di titoli di stato), ciò comporterà un aumento dei prezzi dei beni reali, quindi la mossa corretta è comprarli per tempo. Si spiegano così sia i rialzi diffusi sui mercati delle materie prime con il petrolio in prima fila, dato che la crisi ha letteralmente versato benzina sul fuoco, sia la mancanza di impennate del dollaro, di solito normali in momenti di incertezza. Dobbiamo quindi preoccuparci? Probabilmente no, è possibile infatti che la situazione dei mercati sia meno drammatica di quanto si pensi. Come spesso accade nelle speculazioni infatti si parte da un fatto oggettivo (l’immissione di denaro nel sistema da parte della Fed) ma si tende a esagerarne le conseguenze. Non è infatti immaginabile pensare a un’inflazione a due cifre senza che la stessa Fed non intervenga per riassorbire l’eccesso di liquidità alzando i tassi. Pertanto i prezzi delle materie prime, con i loro eccessi, appaiono scontare attese inflattive irrealistiche. Inoltre un dollaro ben lontano dai massimi funge per noi da ammortizzatore, dato che il petrolio che importiamo viene pagato in divisa americana. Un primo schiaffo alla speculazione è arrivato ieri dal primo paese produttore di petrolio al mondo,l’Arabia Saudita, che ha annunciato un aumento della propria produzione. La notizia ha avuto l’effetto di riportare il prezzo del greggio sotto i cento dollari al barile.
I commentatori (che tuttavia spesso provengono proprio dalle file di coloro che stanno speculando su ulteriori rialzi dei prezzi) ricordano come non ci si debba fidare, dato che l’Arabia non comunica da tempo i livelli raggiunti dai suoi giacimenti e che dei primi cinque possessori di riserve petrolifere quattro sono a rischio, dato che oltre all’Arabia ci sono Iran, Irak e Kuwait (l’unico «tranquillo» è il Canada al secondo posto). D’altra parte appare invece chiaro che anche i rivoltosi più agguerriti non hanno alcun interesse a tagliarsi da soli le mani chiudendo i pozzi: ribelli sì, ma sciocchi no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.