Beppe Fiorello: «Dal mio medico santo la Rai vuole miracoli»

La miniserie racconta la vita del dottore beatificato da Papa Wojtyla

da Roma

«Mi dicono: tu per noi sei una garanzia. Tu sei la nostra assicurazione contro i momenti difficili. Ho capito, va bene: grazie tante. Ma perché i momenti difficili devono capitare sempre a me?». Non vuol apparire polemico, ma di certo è «molto dispiaciuto», Beppe Fiorello, della decisione Rai di mandare in onda la sua ultima fiction (Giuseppe Moscati, storia del «medico santo» beatificato da Papa Wojtyla) su Raiuno il 26 e 27 prossimi. Pare infatti che, oltre alle rassicuranti figure dell’«eroismo quotidiano» - come Salvo d’Acquisto, Joe Petrosino o Valentino Mazzola - il popolare attore sia sempre più spesso abbonato anche all’«eroismo del palinsesto». Al ruolo piuttosto scomodo, cioè, dell’apripista.
«Tutti gli anni il compito più duro, aprire a settembre la stagione delle fiction, tocca a un film il cui protagonista sono io. Capisco che a qualcuno debba pur toccare; ma almeno stavolta mi aspettavo di vedere una mia fiction in un momento dell’anno più favorevole, più importante. Almeno così mi era stato promesso».
Quale altro periodo avrebbe preferito?
«Le feste di Natale, ad esempio. Il tema religioso di Giuseppe Moscati l’avrebbe giustificato in pieno. Mi è stato risposto che il film è molto bello, e quindi adatto a un’apertura di stagione in grande stile. Ma io avrei scelto un pubblico diverso da quello di settembre, ancora distratto dal ritorno dalle vacanze, ancora privo dei giovani che la sera, con le giornate ancora belle, preferiscono andarsene a zonzo».
È però probabile che il suo nome, unito alla straordinaria storia di Moscati, risulti un’attrattiva sufficiente. Non crede?
«Speriamo. Comunque è vero che la storia di Moscati sia straordinaria. È quella di un medico che, ai primi del ’900, conquista una fama di portata internazionale grazie alle sue ricerche pionieristiche sul glicogeno. Ma, soprattutto, riesce a vivere e mettere in pratica i valori del Vangelo nel proprio lavoro: senza fatti clamorosi, senza eroismi apparenti. L’eroismo cristiano può consistere anche semplicemente nel seguire Cristo attraverso le azioni di tutti i giorni. Moscati appartiene, così, a quella schiera di "santi del quotidiano" cui Giovanni Paolo II ha dato nuova visibilità. E fu infatti Papa Wojtyla a beatificarlo, il 16 novembre 1985».
Giuseppe Moscati è diretto da Giacomo Campiotti, il regista di Come due coccodrilli e del televisivo Dottor Zivago. Con quali intenti?
«Campiotti ha fatto personalmente delle ricerche sul personaggio, consultando lettere, parlando coi parenti di chi l’aveva conosciuto: tutte cose che mi hanno illuminato moltissimo. Ne salta fuori la figura di un santo non convenzionale. Quasi inconsapevole della propria santità. Certo: ebbe dai genitori un’educazione fondamentalmente religiosa; ma questo film non è un "santino". Racconta soprattutto la storia di un uomo».
Che peso ha la storia d’amore fra il protagonista ed Elena, interpretata da Kasia Smutniak, e divisa fra lui e l’amico Giorgio incarnato da Ettore Bassi?
«Fondamentale, per capire il personaggio. All’inizio Giuseppe è fidanzato con Elena; ma il crescente amore che prova per il suo prossimo - questo suo darsi agli altri senza limiti, nel lavoro, nell’amicizia - finisce per "distrarlo" da quello per la sua donna. Insomma: in questo film la vera storia d’amore non è quella fra lui e lei. Ma quella fra lui e gli altri».
Che atmosfera si è respirata sul set?
«Quella di una grande partecipazione collettiva. Oltre Napoli e i napoletani, ricordo con piacere la città di Cosenza, nel cui centro storico è stato ricostruito il capoluogo campano dell’800».


Come spiega questa propensione verso i ruoli positivi che i produttori continuano a proporle?
«Ma io non ho interpretato solo dei "buoni", in vita mia. Proprio in questi giorni sto partecipando a un film di Eduardo Winspeare, in cui recito il ruolo di un malavitoso affiliato alla Sacra corona unita, e per di più tossicodipendente».

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