Berlusconi attacca i giudici: "Ma non temo la Consulta"

Il premier assicura: "Governo stabile qualunque sia l’esito del legittimo impedimento". E sulla grande coalizione: "In Italia è impossibile". Il gruppo dei responsabili a quota 24

Berlusconi attacca i giudici: "Ma non temo la Consulta"

nostro inviato a Berlino

In privato, ormai da qualche mese a questa parte, l’aveva già detto decine di volte. Forse anche con un pizzico di scaramanzia ma soprattutto con la sincera convinzione che comunque vada a finire il legittimo impedimento la questione giustizia non sarà mai veramente archiviata. Berlusconi ci ha messo una pietra sopra. Perché, spiega nelle sue conversazioni private, «è dal 1994 che le Procure non mi lasciano tregua ed è ormai chiaro che continueremo così all’infinito». Traduzione: se non è la Corte costituzionale che boccia il legittimo impedimento (oggi la decisione) sarà comunque la campagna referendaria sul quesito presentato dall’Idv di Di Pietro per l’abolizione totale dello scudo (ieri dichiarato ammissibile) a tenere vivo il dibattito. Almeno fino in primavera, quando gli italiani saranno chiamati a votarlo. Eppoi, aggiunge il Cavaliere, «troveranno certamente il modo per riaprire il fronte processi». Ed è questa la ragione per la quale da Berlino Berlusconi si dice «totalmente indifferente» alla sentenza della Consulta. Perché al di là di come finirà oggi alla Corte costituzionale - una decisione sulla quale il premier non ripone molte aspettative - la querelle con la magistratura è comunque destinata ad andare avanti.
Ed è questa la ragione che porta Berlusconi a non usare troppi giri di parole quando durante la conferenza stampa che segue il bilaterale con il cancelliere Merkel i giornalisti gli chiedono un parere sul verdetto della Consulta. «Non c’è nessun pericolo per la stabilità di governo qualunque sia l’esito della decisione», spiega. Per poi aggiungere di essere «indifferente al fatto che ci possa essere un fermo o meno nei processi che considero processi assolutamente ridicoli». Conclusione: «Ne ho parlato anche con Angela Merkel, la patologia per la nostra democrazia è la presenza di un ordine giudiziario che si è trasformato in un potere giudiziario, esorbitando dal suo alveo costituzionale».
Apriti cielo, con l’opposizione a puntare il dito su Berlusconi che «scredita il nostro Paese all’estero» e il Csm che, chissà, magari aprirà l’ennesimo fascicolo a carico. In verità, quella del Cavaliere non è una voce dal sen fuggita ma il frutto di una precisa strategia, tanto che i toni sono fermi ma pacati. «Se dopo oltre 16 anni vogliono ancora provare a buttarmi giù seguendo la via giudiziaria - confidava una settimana fa a un parlamentare - allora è il momento di coinvolgere la comunità internazionale». Ecco perché l’affondo di Berlino, che peraltro ha un precedente autorevole. E sempre tedesco visto che nel 2009, durante il congresso del Ppe a Bonn, il premier non risparmiò fendenti alla Consulta che aveva appena bocciato il lodo Alfano. Insomma, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Con un corollario: «Spiegherò agli italiani di cosa si tratta». Quasi certamente in televisione, entrando anche nel merito dei singoli processi punto per punto. D’altra parte, una memoria sul caso Mills - quello che più lo fa infuriare - è sulla sua scrivania ormai da mesi e l’ha già distribuito a moltissimi tra ministri e parlamentari.
Oggi, dunque, secondo Berlusconi cambierà poco o nulla. Una bocciatura, infatti, farà ripartire i processi in corso. E a quel punto il premier è deciso a presentarsi in aula e a dire la sua senza mezze misure in un periodo che sarà di campagna elettorale (se non ci saranno elezioni anticipate si voterà comunque per le amministrative). Mentre un via libera (improbabile) sarebbe seguito dal dibattito sul referendum abrogativo voluto da Di Pietro. Comunque vada, insomma, il rapporto tra Berlusconi e le Procure sarà argomento di dibattito ancora a lungo.
Meglio, quindi, concentrarsi sui numeri della maggioranza. Che - spiega il Cavaliere durante il pranzo offerta dalla Merkel con i ministri Frattini, Tremonti, Romani, Matteoli e Prestigiacomo e alcuni imprenditori tra cui il presidente di Confindustria Marcegaglia, l’ad di Eni Scaroni e quello di Fs Moretti - non sono ancora troppo rassicuranti. «Il gruppo dei responsabili - spiega ai suoi interlocutori - sarà di 24 deputati». Non pochissimi, ma neanche quei 28 che ai vertici di via dell’Umiltà vedono come soglia minima per una navigazione tranquilla fino a fine legislatura.
Di certo, il premier esclude ipotesi di larghe intese. «Non credo alla possibilità di una Grande coalizione alla tedesca perché - dice in conferenza stampa dopo aver assicurato che non sono previste manovre correttive - non possiamo contare su un’opposizione socialdemocratica. In italia l’opposizione è senza idee e senza leader. E non c’è nessuna persona da prendere sul serio e con cui poter interloquire».

Parlerà pure del Pd Berlusconi, ma è chiaro che i destinatari del messaggio sono Casini e Fini (che ieri in un’intervista a Repubbica ha evocato un «patto di salvezza nazionale»). Poi, in serata, quasi un’ora di faccia a faccia a Roma con Alemanno, nel quale il premier non ha nascosto il suo fastidio per il caos in cui versa la giunta capitolina.

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