Berlusconi si morde la lingua: «Solo un fatto procedurale»

nostro inviato a Bruxelles

La presa di distanze di Napolitano se l’aspettava dalla sera prima, quando Gianni Letta non aveva avuto esitazioni a dirsi «inorridito» davanti alla scelta di andare avanti con il decreto sul federalismo municipale nonostante il pari e patta in commissione bicamerale e l’altolà arrivato dal Colle attraverso i soliti canali informali. Così, quando durante il vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles i suoi collaboratori gli consegnano le agenzie che riportano la netta presa di distanza di Napolitano il Cavaliere non fa una piega.
Passano i minuti e le telefonate fra il premier e Letta si intensificano, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che lo mette al corrente dei suoi due lunghi colloqui con il presidente della Repubblica. Napolitano - è il senso delle parole di Letta - è decisamente più infastidito di quanto possa emergere da quel già duro «irricevibile» con cui ha bollato il decreto. Cosa che apparirà chiara a tutti qualche ora dopo, quando sul sito del Quirinale viene pubblicata la lettera integrale inviata da Napolitano a Berlusconi. Durissima, visto che il capo dello Stato accusa il governo - e quindi Berlusconi - di «comportamento scorretto».
Il Cavaliere, è ovvio, non gradisce affatto. Perché anche se Letta l’aveva messo al corrente fin dalla sera prima delle perplessità del Colle, l’accusa di scorrettezza - è il ragionamento del premier - è eccessiva. Nel senso che, spiega in privato, il fatto che il Quirinale fosse contrariato già giovedì dimostra che non era affatto all’oscuro di quel che stava accadendo.
Accusa che peraltro arriva dopo che Bossi - che concorda la linea da seguire durante una lunga telefonata con il Cavaliere - si è già premurato di chiamare il capo dello Stato per poi accogliere pubblicamente il suo invito. «Andremo nelle aule parlamentari a dare comunicazione sul decreto», spiega il Senatùr prima a Napolitano e poi ai giornalisti senza alcuna sfumatura polemica. D’altra parte la presa di distanza del Colle era stata messa in conto, ma per la Lega era troppo importante portare a casa il decreto già giovedì sera. L’unico modo, secondo Bossi, per ridurre l’impatto mediatico del pareggio in bicamerale e far passare il messaggio - importante per la base leghista in questi giorni di fermento - che alla fine il federalismo era comunque andato in porto.
Una decisione - quella del decreto in corsa - che peraltro Berlusconi ha più subito che sostenuto, consapevole di essere in debito con l’alleato che nonostante il momento difficile continua a blindare i numeri della maggioranza. «Glielo dovevo», spiega il premier. Così, ci sta un malcelato fastidio per l’affondo di Napolitano che, è il senso di quel che pensa il Cavaliere, poteva non spingersi così in là. Detto questo, la linea resta quella della prudenza, nella convinzione che sia il momento di non aprire alcun fronte.

Almeno finché il federalismo tanto caro al Carroccio non avrà completato il suo iter (mancando due decreti, su regioni e sanità). Ecco perché lasciando Justus Lipsius il Cavaliere decide di mordersi la lingua e sfoderare un sorriso di circostanza. Napolitano? «Un fatto procedurale, ora deciderà il Parlamento».

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